È un pomeriggio primaverile, è sabato e in città aleggia la confusione del weekend. Arriviamo in piazza Vittorio Emanuele II e ad attenderci ci sono Marco e Letizia, una coppia che ha scommesso sul settore sportivo, in particolare del fitness wellness. A Catania hanno creato una realtà fatta di sport ed aggregazione, facendo divenire la loro palestra City Wellness Club una realtà sociale, tessuta col territorio e il quartiere. A oltre un anno dal primo lockdown, le palestre sono tuttora chiuse. Noi de Il Fatto di Catania abbiamo parlato con loro per capire, dal punto di vista del settore, come stanno vivendo questa realtà fatta di grandi chiusure e piccoli ristori.
Prima d’addentrarci tra le domande vi diamo qualche dettaglio sulla coppia, impegnata assieme nella vita e nel lavoro. Letizia Virzì dopo i primi studi da coreografa teatrale e musicale ottiene la laurea in Scienze motorie. In qualità d’istruttrice certificata d’aerobica, collabora con svariate palestre catanesi, approfondendo in seguito la formazione in Pilates e Fitboxe. Marco Perretta s’impegna nell’atletica leggera e dopo anni nella corsa di mezzo fondo a livello agonistico si dedica anima e corpo nella disciplina dei pesi. Col trasferimento a Catania inizia la stretta e duratura collaborazione con la City Wellness Club, in qualità d’istruttore di body building e personal trainer certificato.
Nel 2007 nasce la palestra City Wellness Club in via Giuseppe Simili, nel cuore della città tra la signorile zona di via Umberto e l’ingresso del lungomare catanese. Marco e Letizia assieme al loro staff, formato da validi collaboratori sportivi, conducono avanti un lavoro fatto di passione per lo sport e per il quartiere, tra cura nei dettagli ed iniziative sociali di rilievo. Letizia ci invita in casa sua perché, come ci spiega lungo il tragitto, insieme a Marco hanno deciso d’utilizzare la lunga e forzata chiusura per ristrutturare gli ambienti della palestra, aggiungendo piccole novità.
Siete proprietari della palestra City Wellness Club. Il vostro è stato uno dei settori maggiormente colpiti dall’emergenza epidemiologica e relativi Dpcm. Raccontateci la vostra esperienza
Marco: «La nostra esperienza è stata di un abbandono parecchio consapevole e non, come spesso viene fatto intendere, “inconsapevole” e dettato dall’evoluzione della situazione».
Letizia: «Abbiamo saputo della chiusura dalle TV. Solamente in seguito l’ente di promozione sportiva C.S.A.In, a cui noi siamo affiliati, ci ha informati. La chiusura dall’otto marzo l’abbiamo saputa dai telegiornali. La cosa triste è apprendere le notizie il giorno prima per l’indomani. Dopo il lockdown di marzo c’è stato mandato il protocollo per l’adeguamento della struttura. Abbiamo effettuato la sanificazione e seguito alla lettera il protocollo ma dopo due mesi dalla riapertura ci hanno nuovamente chiusi. È stato bruttissimo, da marzo a giugno siamo stati totalmente chiusi. Dopo qualche mese abbiamo ricevuto il “bonus” di 600 euro relativo ai collaboratori sportivi».
Il Covid-19 ha colpito all’improvviso, creando confusione tra singoli cittadini ed istituzioni, secondo voi, dopo i primi mesi confusionari, com’è stata la risposta governativa?
Marco:«Lì c’è stato un passaggio, a un certo punto, in cui mentre gli altri settori, coi loro limiti, erano in attività, il presidente del Consiglio in TV ha dato un ultimatum all’interno settore: una sola settimana per effettuare i controlli e in caso di trend negativo la chiusura. Da lì il nostro settore è stato chiuso completamente. Dà l’idea di come abbiamo recepito il comportamento governativo nei nostri confronti. Una chiusura obbligata ma senza fornire alcun dato».
Letizia:«Soprattutto non è venuto mai nessuno a controllare, noi il protocollo l’abbiamo seguito correttamente: la gente si allenava su prenotazione, non più di 5 persone in sala, con due metri di distanza l’un l’altro, l’utilizzo della mascherina all’ingresso e all’uscita, gli spogliatoi chiusi all’inizio e poi solamente due persone alla volta. Ci siamo adeguati, abbiamo eseguito la sanificazione per quindici giorni. Le misure funzionavano, le persone si erano abituate, c’è persino chi veniva in orari in cui non c’era nessuno. Noi abbiamo seguito il protocollo ma ci siamo ritrovati lo stesso chiusi e tuttora non ne comprendiamo la motivazione».
Avete avuto un qualsiasi tipo di contagio nella vostra palestra? Indiretto o meno?
Letizia:«No, zero. Nessuno di noi, compresi noi due. Personalmente ho fatto diversi tamponi risultando sempre negativa, siamo stati a contatto con tutti, ovviamente con il corretto distanziamento. Marco allenava i nostri iscritti con la mascherina. Non ci sono stati contagi di nessun tipo tra i nostri utenti. Non abbiamo capito perché proprio il nostro settore è stato così fortemente penalizzato, tra l’altro previene le malattie, soprattutto respiratorie».
Com’è andata con bonus e rimborsi statali?
Letizia:«Questi bonus da 600 euro non hanno risolto la questione. Nel momento in cui ho 3.000 euro di spese al mese e ne ricevo solo 600 non si risolve il problema. Ristori non ce ne sono stati, cioè abbiamo ricevuto il primo ristoro a dicembre ma d’allora siamo tutti in attesa…»
Non avete ricevuto i successivi?
L:«…No, mancano gennaio, febbraio e marzo, non è arrivato nulla».
Le misure anti Covid sono state severe nei confronti dello sport, in particolare delle palestre. Dopo più di un anno pensate siano state maggiormente efficaci o penalizzanti?
Marco:«Sono state penalizzanti e in maniera mirata, in modo inquietante, anche molto deludente, perché l’unica categoria a cui è stata completamente sbarrata la possibilità di tornare a lavoro è stata effettivamente la nostra, del mondo wellness fitness. Il nuovo governo ci ha messo dieci giorni a formarsi, compreso l’insediamento dei sottosegretari oltre che dei ministri. Ad oggi non c’è un nome per il Ministero dello Sport. Si stava facendo il nome di Valentina Vezzali ma siamo ai “probabilmente”. Tutti gli altri ministeri sono già stati assegnati ma lo sport rimane ancora vuoto».
Si vociferava una riapertura ad aprile. Nessuna novità, sviluppo o informazione è giunta dai canali istituzionali?
Marco:«Ricordo che dal primo lockdown furono annunciate diverse date di riapertura. Ogni volta venivano smentite».
Letizia:«La prima data di riapertura è stata il 24 novembre dopo la chiusura del 24 ottobre. Ci avevano auspicato una chiusura di un solo un mese dopodiché non si è saputo più nulla. Passato Natale, la nuova promessa: “a gennaio riapriranno le palestre”. È caduto il governo e addirittura si vociferava la riapertura per le festa delle donne, stavo anche preparando un evento particolare come il krav maga per le donne contro le possibili aggressioni. Dopo la chiusura di Pasqua, si parla del 15 aprile però le nostre sono attività stagionali, noi a maggio abbiamo già finito la stagione».
M: «Il paradosso che irrita riguarda la possibilità di gestire la nostra attività con un distanziamento adeguato, rispettando norme e protocolli precedenti e tuttora validi altrove. In altri contesti, invece, in attività giornaliere che tutti noi svolgiamo, è assolutamente impossibile rispettare le norme: è accaduto anche poco fa in panetteria, in pochi metri quadri senza il corretto distanziamento…»
L: «…noi invece in palestra lo facevamo. Abbiamo organizzato la sala cardio con l’utilizzo degli attrezzi alternati e massimo due persone a seduta. S’igienizzava l’attrezzo prima e dopo l’uso e le distanze venivano mantenute. Perché non potevano continuare solo i personal trainer? Una persona alla volta. Perché impedire una cosa del genere per esempio?! Attualmente diverse palestre stanno utilizzando “l’escamotage” dell’agonismo».
La vostra palestra è un luogo d’incontro oltre che d’attività fisica, con diverse iniziative per tematiche anche sensibili. La chiusura è pesata maggiormente a livello economico-lavorativo o umano-sociale?
Letizia: «Entrambe. Il reddito è stato pari quasi a zero. Dopo la riapertura post marzo, abbiamo fatto recuperare tutti, per tre mesi la gente si è allenata senza pagare un centesimo. Ci sembrava corretto, avevano pagato un abbonamento e noi ci sentivamo in dovere di farlo recuperare ma abbiamo aperto gratuitamente. In quei tre mesi non abbiamo incassato nulla, pur avendo le spese: utenze, affitti ecc… Il governo aveva annunciato i voucher ma non ne abbiamo visto nemmeno uno. Gli aventi diritto ai voucher erano solo gli over 65 e i bambini: un target che non avevamo. La nostra utenza varia tra i 20 anni, spesso studenti universitari, sino ai rari settantenni, con attività specifiche. Molte signore mi scrivono dicendomi che hanno mal di schiena o dolori osteoarticolari. Loro non vanno al lungomare a correre. Queste signore avevano bisogno di quella ginnastica posturale».
Marco: «La questione del disagio umano sociale si va a intercettare a un’ignoranza riguardo il mondo politico che non ci aspettavamo. Quando si parla della questione palestre nei dibattiti spesso s’indirizza l’argomentazione sull’attività fisica in sé e non sull’associazionismo intorno al fitness, degli operatori del settore che ti permettono di fare zumba e pilates. Il dibattito deve toccare il mondo lavorativo perché ha anche una ricaduta sul PIL notevole. Si sta fermando un settore che produce tanto e che al momento produce dei disoccupati “indeterminati”…».
L: «…Ci sono intere famiglie che lavorano intorno al settore delle palestre, Piscine e strutture sportive…»
M: «…Le palestre sono attività che tra l’altro hanno una funzione d’appoggio alla pratica clinica».
L: «Non c’è solo il calcio, come spesso si pensa in relazione allo sport, poiché il primo a livello nazionale, ma tante piccole realtà ed imprese come la nostra, che spesso si reggono sugli utenti del quartiere. I più vengo a piedi e hanno bisogno di te per intrattenersi e staccare dalla loro quotidianità, per distrarsi quell’oretta, non è solo un luogo in cui fai sport. Socializzi con altre persone, si creano dei mini gruppi, alcuni di noi si conoscono da una decina d’anni: uscivamo assieme, organizzavano cene, andavamo al cinema e organizzavamo feste. Sono state giornate bellissime. È un club a tutti gli effetti. Addirittura una signora si è iscritta da noi per l’aggregazione che si era creata, oltre la mera attività fisica».
M: «Riguarda in parte tutte le palestre. Non siamo più negli anni ’80. Almeno in un caso su tre s’iscrivono perché il medico lo consiglia. Ci sono persone cui socialità iniziava e finiva in palestra o addirittura hanno iniziato a socializzare nella nostra palestra, dall’ambiente famigliare rispetto ad altre disumanizzate. Poi volendo andare al dato generale non è un mistero per nessuno che dal momento in cui hanno fermato il settore fitness sono aumentati i consumi di psicofarmaci, c’è una correlazione».
L: «Le “mie” signore avevano tre cose: palestra cinema e teatro. Hanno chiuse tutt’e tre, non hanno più niente, adesso stanno sempre a casa, non escono. Per chi avrebbe bisogno, i centri specializzati di fisioterapia e quant’altro hanno un costo sostanziale, invece prima avevano la ginnastica posturale, il pilates o altro a buon mercato. Riuscivano a permetterselo persone che vivono con una sola pensione. Molti non possono spendere 50 euro a seduta mentre da noi posso fare oltre un mese».
Il proprietario di una palestra può avere una famiglia. Nel vostro caso siete entrambi lavorati del settore sportivo, dunque questa chiusura ha colpito l’intera famiglia.
Marco: «Ci sono interi nuclei familiari attorno, questo non è stato assolutamente considerato. Il ristoro è stato solo uno per entrambi. Era un ristoro per i collaboratori sportivi e anche lì c’è stata una gestione quasi schizofrenica. Alcuni hanno ricevuto questi ristori, altri no…»
Letizia: «…Per esempio da noi su quattro collaboratori, uno non ha ricevuto nessun bonus mentre gli altri sì…»
M: «…C’era un iter burocratico online da svolgere e l’abbiamo svolto tutti correttamente, con tanto di conferma via email…»
L: «…Un bonus di soli 600 euro. Io avendo un altro impiego momentaneo non li ho più richiesti, i collaboratori però stanno continuando a chiederli. Però, insomma, quella cifra… cioè lo stato dà 700 euro di RdC e solo 600 a un collaboratore sportivo?!».
M: «Un altro valido aiuto sarebbe stato, e non ci voleva un luminare per comprenderlo, bloccare le spese, almeno fino al termine della chiusura».
Quindi non sono state prese in considerazione queste spese?
Letizia: «Il 24 maggio mi è arrivata una pec dalla SIAE, statale, dicendomi che dovevo pagare. Io l’ho subito pagata ma se non avessi avuto i soldi? Mi arrivava un verbale o peggio. Avevo circa una settimana per pagare. Hanno solamente applicato un lieve sconto ma nessun prolungamento per i tempi di pagamento. Siamo passati da circa 400 euro a poco meno di 300. Non hanno sospeso nulla, ho continuato a pagare ogni utenza: elettricità, gas, telefono, ecc…».
Alcuni colleghi hanno disobbedito alle norme anti Covid, aprendo anche in questo periodo di chiusura. Cosa ne pensate? Protesta o incuranza verso il bene comune?
Marco: «Questo comportamento imprenditoriale dovrebbe, in realtà, contenere un messaggio. Noi ci siamo sempre attenuti alle regole senza mai sgarrare. È stato sbagliato il gesto dei colleghi poiché infonde cattiva luce sulla categoria. Potrei dire hanno sbagliato facendo qualcosa che magari avrei fatto anche io ma non ho fatto per questioni etiche, perché continuo comunque a credere nello Stato. Però il messaggio che potrebbe arrivare alla “casta”, a coloro che gestiscono la cosa pubblica. Se dall’altra parte ci fosse stato un minimo d’empatia, diciamo “tecnica”, si sarebbe compreso che se si arriva a rischiare 500 euro di verbale per aprire magari lo si fa perché realmente disperati».
È più disperazione o protesta?
Marco: «Sicuramente il primo. In alcuni settori c’è coesione sociale mentre nel settore fitness wellness non c’è, difficilmente il gestore di una palestra ritiene d’avere qualcosa in comune con il gestore di un’altra palestra. È un settore fortemente concorrenziale e lo si può notare in modo oggettivo quando vai in una palestra che ti propone un abbonamento stracciatissimo. Questo dislivello non capita nella ristorazione, al massimo puoi trovare una differenza lieve».
Letizia: «Da noi c’è una forte competizione, alle volte una forte slealtà. Per esempio un comportamento sleale è indagare i prezzi delle altre palestre per poi riabbassare i prezzi. È successo anche a noi».
Cos’hanno fatto i sindacati?
Letizia: «Sono enti di promozione sportiva con i loro legali. Siamo tutelati in caso di problemi di varia natura. Noi paghiamo l’affiliazione allo CSAIN, legati al CONI. Tesseriamo noi e gli utenti a loro e inviamo la registrazione del tesseramento al CONI. Questo ci dà anche la copertura assicurativa. Non sono veri e propri sindacati ma dicono d’essersi battuti per noi e che continuano a farlo. Finora però non hanno ottenuto granché».
Immaginiamo per un attimo una sliding door, un mondo parallelo in cui avete voi la possibilità e la responsabilità di condurre il Paese. Cos’avreste fatto di diverso e perché?
Marco: «Semplicissimo, al posto del premier avrei agito così. Tutelare la salute quindi coloro che nelle statistiche figuravano e continuano a figurare come i più colpiti, cioè chi ha tra i 65 e 70 anni o chi ha tre, sei patologie nell’organismo anziché bloccare tutt’Italia aspettando i vaccini. Finché non c’erano, il lockdown avrebbe potuto avere senso ma nel momento in cui ci siamo dati molto da fare per avere i vaccini, secondo me, la cosa più utile sarebbe stata vaccinare tutti coloro che sono fortemente a rischio senza impedire a coloro che sono obiettivamente fuori dalle statistiche dei decessi per Covid di continuare a svolgere le loro attività. Se l’obbiezione diventa “I giovani devono pur tornare a casa” semplicemente i nonni hanno il vaccino e quindi non ci stavamo a preoccupare.
Qui c’è un ulteriore problema riguardante la disorganizzazione con le forniture dei vaccini. Un’altra cosa che come Stato avrei fatto sarebbe stata multare chi non ha osservato gli obblighi contrattuali e chiudere il rapporto con l’azienda. La Pzifer non fa quello che dovrebbe secondo contratto? Io con te chiudo e vado a prendere un altro vaccino.
In Europa si è detto che i nessi causali tra le morti, in seguito ai vaccini fallati, dal punto di vista scientifico non sono stati trovati. Siccome i numeri sono bassi, anche se sempre morti sono, non c’è evidenza scientifica. Allora perché è stato chiuso il nostro settore se un feedback scientifico non c’è stato? Siamo stati chiusi senza nessuna prova scientifica di contagi degni di nota».
Letizia: «Hanno chiuso quel settore dove secondo me la salute viene tutelata. Sappiamo benissimo che l’attività fisica rafforza le difese immunitarie da malattie cardiovascolari, cardiorespiratorie, è l’antidoto contro l’obesità ecc… Il Covid è una malattia respiratoria. Io sono da 25 anni nel settore e ho avuto sempre delle ottime difese immunitarie, dovute al praticare costantemente sport».
Ha prevalso maggiormente la sensazione d’abbandono da parte delle Istituzioni o la solidarietà ricevuta dai clienti?
Marco e Letizia all’unisono: «La sensazione d’abbandono!».
L: «L’abbandono è stato anche dei clienti. Quando abbiamo riaperto dopo il primo lockdown nessuno di loro si è messo nei nostri panni, tutti hanno richiesto il recupero ferreo delle loro mensilità. Addirittura alcuni volevano il rimborso, anche per il solo mensile di 30 euro. Empatia inesistente. A qualcuno ho pure sottolineato che questa pretesa stonava con l’aver speso la stessa cifra con due aperitivi. Il senso d’abbandono l’ho avuto due volte, uno con le istituzioni l’altro con gli utenti. Alcuni non sono più tornati anche per paura e lo capisco. Nei due mesi di riapertura è tornata un terzo dell’utenza».
Tuttora il futuro è incerto e le attività obbligatoriamente sospese. Qual è il vostro augurio, la vostra speranza? Come pensate possano cambiare le cose dopo oltre un anno?
Letizia: «Le nostre aspettative sono state deluse. Mi aspettavo che nel 2021 le cose potessero ritornare alla normalità. Siamo alla terza ondata e non so fin quando continueremo. Io sono convinta, purtroppo, che nei prossimi anni ci saranno annualmente dei mesi di chiusura. Apriremo a singhiozzo. Questa è la mia paura…»
Marco: «…L’apertura a singhiozzo per me fortunatamente è difficilmente pronosticabile, non credo possa essere questo l’andazzo».
L: «Un’altra paura è che nonostante il vaccino continueremo comunque ad avere questi problemi poiché ci saranno nuovi varianti ecc…».
M: «Penso ci saranno altri incidenti di percorso riguardanti i vaccini. Non c’è stato sufficiente tempo per analizzare i possibili effetti collaterali dei vaccini. Un’emergenza è un’emergenza, questo è chiaro, però penso che potrebbero verificarsi degli eventi drammatici tali da spingere i politici ad elaborare strade diverse».
Ringraziamo Letizia e Marco per la loro disponibilità, auspicando che l’intero settore possa riaprire il prima possibile e tornare, col tempo, a una normalità tuttora assente per le palestre da più di un anno. Il Fatto di Catania augura il meglio alla coppia e alla palestra City Wellness Club.