Primo trapianto d’utero in Italia avvenuto con successo a Catania, adesso tenterà di diventare madre

Primo trapianto d’utero in Italia avvenuto con successo a Catania

Un anno addietro circa, la donna trentenne siciliana si era sottoposta al primo trapianto d’utero effettuato in Italia. L’intervento è andato a buon fine, merito anche della sinergia tra il Policlinico di Catania e l’Ospedale Cannizzaro. Dopo un anno dalla sensibile operazione, la donna è pronta a ricevere quel dono che la vita non le aveva inizialmente concesso, cominciando i tentativi per diventare madre.

È una storia che mostra l’eccellenza sanitaria catanese in alcuni ambiti specialistici. Non è la prima volta che a Catania si effettua un intervento medico-chirurgico per la prima volta in Italia ma in questo caso non si aiuta una paziente ma le si dona anche una nuova speranza e linfa di vita.

La donna siciliana è nata priva dell’utero a causa di una rara malattia congenita denominata “sindrome di Rokitansky”, dunque impossibilitata ad avere figli in qualsivoglia modo. L’avanzamento tecnologico, soprattutto nel campo medico, ha donato alla trentenne una possibilità: il trapianto d’utero. Il protocollo d’accesso è rigido ma soprattutto impraticabile alle donne che superano i quarant’anni ma non è stato questo il caso. Il primo intervento in Italia del genere è stato eseguito dai professori Pierfrancesco e Massimiliano Veroux, Paolo Scollo e Giuseppe Scibilia.

Dopo un anno dal trapianto dell’utero nel Policlinico di Catania, in collaborazione con l’azienda ospedaliera Cannizzaro, la donna sta bene e (finalmente) tra settembre ed ottobre potrà provare ad avere figli con la fecondazione assistita, con suoi ovuli crioconservati prima dell’intervento.

Il direttore del reparto di Ginecologia e ostetricia del Cannizzaro, prof. Scollo ha dichiarato ad Ansa: «Sta benissimo ed è felice non ci sono stati fenomeni di rigetto. Il ciclo è regolare e l’organo funziona al cento per cento. Adesso aspettiamo i prossimi mesi per avviare la tecnica della fecondazione assistita utilizzando degli ovociti della stessa paziente che avevamo prelevato e conservato, congelandoli, prima dell’intervento. Siamo molto soddisfatti del trapianto sia sotto il punto di vista chirurgico che immunologico».

Perché l’intervento è così innovativo? A sottolinearlo sempre il prof. Scollo: «È un trapianto “anomalo” rispetto a quelli tradizionali perché non salva la vita, ma serve a dare la vita, a mettere le donne in condizioni di poterla dare». La trentenne ha dichiarato: «Sono felice e piena di speranza. Auguro a tante donne di avere la mia stessa fortuna. Sto bene e adesso sono in attesa del passo successivo, il ricorso all’inseminazione assistita. Ma il mio pensiero va alla famiglia della donatrice, che non conosco, ma a cui penso tutti i giorni».

Effettivamente solo a Catania ci sarebbero altre 14 donne in lista d’attesa ma gli altri interventi non sono stati eseguiti per carenza adeguata di donazioni di organi. Le richieste sono giunte da diverse regioni italiane. La prima donatrice, che ha permesso l’intervento, è stata una donna toscana di 37 anni, deceduta per un arresto cardiaco improvviso, che aveva espresso il consenso alla donazione e che in passato aveva avuto gravidanze terminate con parto naturale. La rete è coordinata dal Centro nazionale trapianti in collaborazione con i centri regionali di competenza.

Il primo trapianto d’utero in Italia a Catania non ha solamente donato nuova speranza alla trentenne ma a tutte le donne che, per diverse fatalità, non possono donare la vita. È la stessa siciliana a spingere verso la donazione ricordando quei giorni pre e post trapianto d’utero: la gioia e la preoccupazione, la chiamata decisiva in cui si comunicava il via libera dell’ospedale. Sentita d’Ansa, la donna termina: «Voglio vivere step by step e sarò felice comunque vada. Abbiamo fatto il primo passo, aspettiamo quello che seguirà. Vivo tutto col sorriso e con la fede: sorridevo quando sono entrata in sala operatoria, l’ho fatto uscendo e continuerò a farlo. Sono grata all’equipe medica. È la mia seconda famiglia, ogni volta che vado in ospedale mi sento a casa, a tutti i livelli».