L’infanzia del catanese doc è ricca di ricordi ed eventi piacevoli, resi gioiosi dalla spensieratezza e dalla semplicità che contraddistingueva la vita degli allora bambini di Catania. Era il tempo in cui, dopo scuola, si scendeva tutti giù in cortile a giocare e a chiacchierare: i bambini del quartiere si davano appuntamento in piazzetta per condividere il pomeriggio fino a quando c’era la luce del sole e, al grido che le mamme lanciavano dai balconi circostanti, per tornare casa a lavarsi, aspettando con ansia che arrivasse l’indomani.
Nessun videogioco, nessuna applicazione on line o dispositivo tecnologico poteva fermare su una sedia quei bambini catanesi, abituati a gareggiare, a sfidarsi, sporcandosi e “sbucciandosi” le ginocchia, pronti addirittura a “prenderle su” dalla mamma che, non appena avrebbero fatto rientro a casa, era subito pronta a sgridarli. Ma ai bambini di Catania non importava subire le punizioni della mamma; a loro interessava solo finire la partita di pallone o du “sciancateddu” (letteralmente “lo zoppo” corrisponde al gioco della campana); oppure prendersi la rivincita giocando ad “ammuccia-ammuccia” (nascondino) o sfidandosi con il loro “tuppetturu“, quell’antica trottola che tenevano nella tasca dei loro “causi a cutta”.
Di sicuro, tutti ricorderanno cos’è “u tuppetturu”, ma sai perché era uno dei giochi più amati dai “picciriddi” catanesi?
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Tuppetturu: la Storia della Trottola Catanese
Nota anche come “strummolo”, “paparazza”, è “paparedda”, a Catania la trottola è solo “u tuppetturu”, antico nome che deriva dal termine “tuppu”, indicante un attrezzo dalla forma tondeggiante e sporgente, che fa pensare appunto a quella dell’antico giocattolo catanese. U tuppetturu tradizionale è costituito da una biglia in legno, da cui sporge la parte appuntita di un chiodo che fa da perno al movimento rotatorio e attorno al quale è avvolto un filo di spago o di cordicella, che deve essere svolto per lanciare il giocattolo.
Il merito di aver creato questo antico giocattolo va ai Greci e ai Romani, che come testimoniano molti autori classici, lo diffusero con il nome di “turbo” e di “paleo” e lo utilizzarono facendolo roteare al centro di un grande disegno a cerchi disegnato per terra, all’interno del quale doveva raggiungere il cerchio più ampio al quale era assegnato un punteggio maggiore. Pian piano, l’uso della trottola si diffuse nell’Inghilterra del XIV secolo, dove veniva usata in occasione della tradizionale gara del Martedì Grasso; in America dove il suo utilizzo è testimoniato già prima che giungesse lì il famoso Cristoforo Colombo; ma anche in Giappone, dove erano gli stessi fanciulli a costruirsi le proprie trottole e presso le popolazioni indigene dell’Africa, dove veniva usata al posto delle ghiande.
Il passaparola da un lato e l’influenza delle diverse dominazioni dall’altro, permisero la diffusione do “tuppetturu” anche a Catania, dove da sempre rappresenta uno dei giochi più diffusi e più conosciuti su tutto il territorio. Nei vicoli e quartieri più antichi di Catania, infatti, è ancora possibile trovare qualche catanese verace che ricorda quando da piccolo giocava “co so tuppetturu” e si divertiva a personalizzarlo, colorandone la superficie esterna in legno con i colori della sua squadra del cuore. Un gioco senza tempo che ancora oggi viene riproposta alle nuove generazioni sotto forma di moderne varianti, che vanno dalle note trottole da combattimento “Beyblade” ai più manuali “yo-yo”, tutti colorati e da collezionare.
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Tuppetturu: un Gioco Catanese Adatto ad Ogni Età
Chi ha detto che con il “tuppetturu” giocavano solo i bambini catanesi? Questa particolare trottola antica era un passatempo amato anche dai nonni e dagli uomini che, dopo il lavoro, si riunivano in piazza per “passare tempo” intrattenendosi con giochi da tavolo o da strada e, al segnale del “Cu puttau ‘u tuppètturu?” posti a cerchio, estraevano le loro trottole e davano inizio ad una vera e propria sfida per decretare quella “chiù fotti”.
Per giocare, a turno, sia che facesse parte del gruppo dei bambini o di quello degli adulti, ogni giocatore tirava “a lazzata”, tenendo fra le dita la cordicella che avvolgeva la trottola e lanciando con forza “u tuppetturu” di legno per terra dove poggiava la sua punta metallica e ruotava energicamente fino a quando si fermava da sola. Una variante del gioco do tuppetturu prevedeva la modalità “multiplayer”, coinvolgendo nello stesso momento tutti i giocatori che insieme lanciavano i loro tuppettiri, mentre un altro faceva da arbitro per decretare la trottola vincitrice. Mentre si osservava volteggiare la propria trottola, inoltre, era possibile dare le “pizzàte” alla trottola del perdente, quei colpi cioè che servivano ad incrinarne la superficie per limitare le possibilità di una futura vittoria.
Un gioco accattivante quello “do tuppetturu”, che sembra proprio che sia duro a morire e riesca a resistere nel tempo perché amato dai bambini di ogni età!