Arcigay Catania: Pride e realtà di un’associazione “senza confini”, per essere umani, per essere liberi

Arcigay Catania: Pride e realtà di un’associazione “senza confini”

In occasione della decima edizione di Etna Comics tra i vari stand vi è anche l’associazione Arcigay Catania che, pur essendo posizionati in un angolino del Festival internazionale del fumetto, del gioco e della cultura pop made in Catania, hanno illuminato ma soprattutto consapevolizzato gli appassionati della fiera. Nella giornata di venerdì, calda, da classico periodo estivo catanese, troviamo allo stand dell’Arcigay Catania diversi volontari e volontarie ben felici di essere lì. A chiacchierare con noi sulla loro presenza a Etna Comics, la loro mission, il Catania Pride e molto altro è Vera Navarria, vice presidente di Arcigay Catania e portavoce del Catania Pride.

Qual è il significato nell’avere l’associazione Arcigay Catania in un evento della portata di Etna Comics?
Navarria: «È sicuramente un’occasione importantissima per fare rete. Mi son fatta un giro tra gli stand degli editori e ho potuto vedere quante novità ci sono che trattano le tematiche LGBT, coming out ecc… e questo mi fa piacere. È importante perché tantissimi ragazzi e ragazze si sono avvicinati al nostro stand. È importante perché siamo qui e l’Etna Comics ricade nel mese del Pride, questo lo sanno bene gli editori e gli espositori presenti e a noi fa sicuramente piacere ricordare che il 2 luglio c’è il Pride. È importante per tantissimi motivi ed è anche l’occasione per far conoscere la nostra associazione, i servizi che offriamo e tutte le attività che portiamo avanti per tutte le persone interessate».

C’è una maggior rappresentazione della comunità LGBT nel mondo fumettistico. C’è un evolversi delle tematiche nella trasposizione fumettistica oltre a quella cinematografica /televisiva?
N: «Sì, rispetto ai miei tempi. Appartengo a un’altra generazione rispetto al pubblico medio di Etna Comics ma devo dire che comunque nei manga giapponesi si trovava qualche riferimento, però le cose sono cambiate moltissimo. Dal punto di vista della rappresentazione, le cose sono cambiate sicuramente in meglio, tantissimo. È un bene che sia così perché ce n’è ancora un fortissimo bisogno. Non tutte le persone se ne rendono conto però essere qui in questi giorni ce ne ha dato la misura perché, mi spiace dirlo, non è ovviamente colpa di nessuno, men che meno degli organizzatori, però i volontari e le volontarie nello stand qualche commento sgradevole l’hanno ricevuto. Questo significa che c’è un grandissimo bisogno».

Catania Pride: Vladimir Luxuria è la madrina quest’anno. È un incentivo a far accogliere il vostro messaggio o potrà essere motivo di distrazione data la sua notorietà?
N: «La notizia è uscita anche al di fuori della bolla delle persone LGBT, significa che abbiamo buone speranze di far arrivare il messaggio. Il 2 luglio c’è il Catania Pride e ancor prima ci sono una serie di eventi per tutto il mese e nella settimana del Pride. Sicuramente la presenza di Vladimir Luxuria ci aiuta a far conoscere quest’informazione, il primo Pride dal 2019. C’è stato lo scorso anno ma con le restrizioni non è stato possibile fare un corteo. La presenza di Luxuria serve a far arrivare questo messaggio. Inoltre non è una vip qualsiasi: Luxuria è un’attivista. È stata a Mosca, in cui ha protestato contro le leggi di Putin che già da tempo vietano la cosiddetta propaganda LGBT ed è anche una persona di straordinaria cultura. Ci fa tantissimo piacere averla qua a Catania, città che non ha una lunga tradizione di madrine o padrini. Quest’anno c’è stata la possibilità di avere Luxuria e le opportunità bisogna saperle cogliere: siamo felicissima di averla qui».

Lei ha accettato subito o ha avuto dubbi?
N: «Non ha avuto nessun dubbio, non vede l’ora di andare al mare! Già l’anno scorso l’avevamo contatta ma aveva impegni per quelle date e si era già prenotata per quest’anno in quell’occasione».

Vladimir Luxuria in un videomessaggio si sofferma sulla vostra dichiarazione, divenuta quasi slogan: “manifestazione esalta amore”. Può essere abbracciato come slogan del Pride 2022 o avete un messaggio prioritario?
N: «Lo slogan ufficiale è senza confini, in cui certamente comprendiamo il discorso sull’amore. Noi diciamo che dobbiamo essere gli artefici della nostra felicità senza che la società ci imponga dei paletti, comprende l’amore ma non solo. Riguarda anche i diritti di genere, riguarda il non dover essere più discriminato perché, altrimenti, se subisci delle vessazioni diventa difficile pensare che tu viva te stesso senza dei confini. Abbraccia diversi aspetti. Sicuramente poter avere una vita affettiva e familiare è di estrema importanza, soprattutto nelle famiglie cosiddette omogenitoriali conosciute forse come famiglie arcobaleno ai più. Ancora questi genitori che hanno intenzione d’intraprendere un percorso genitoriale in Italia hanno tantissime difficolta per non dire che sono costrette ad andare all’estero. C’è tantissima disparità».

Queste difficoltà sono societarie o legali?
N: «Legali. La società è cresciuta moltissimo da questo punto di vista, merito sicuramente anche dei Pride e di chi ci ha messo la faccia negli anni. Qualcosa è cambiato. Ma a livello legale c’è una forte disparità perché due genitori gay o lesbiche non possono riconoscere entrambi il proprio bambino; di fatto ci sono tanti bambini che hanno uno solo dei genitori riconosciuto».

Sarebbe facile fare questo passo avanti a livello giuridico o richiede del tempo e ciò può essere considerato come un’attenuante piuttosto che una “scusa” da parte dello Stato?
N: «Purtroppo non ci sono scuse né attenuanti che possiamo riconoscere, perché di fatto ciò è possibile in gran parte dell’Europa, in tutti i paesi occidentali. L’Italia è in realtà un fanalino di coda. Ormai il matrimonio egualitario è molto diffuso, in Italia non esiste. In Italia è possibile unirsi civilmente ma è un’altra cosa. Non si capisce intanto perché per fare la stessa cosa, cioè sancire l’amore con una persona per tutta la vita, dobbiamo avere accesso a percorsi differenti. Inoltre l’unione civile non prevede la genitorialità, non prevede un progetto di famiglia che implichi anche i figli in nessun modo, quindi, l’accesso alla procreazione assistita o adottare. È una brutta peculiarità italiana».

Le “spose di Paternò”: il fatto che siano una notizia, come altre coppie nel passato, è qualcosa che non dovrebbe essere notizia o è giusto che lo sia?
N: «Intanto non sono sposate ma unite civilmente anche se per noi e per loro a tutti gli effetti è un matrimonio. È importante che la stampa riporti la cosa com’è: sono unite civilmente. Se scriviamo che sono sposate allora le persone pensano che il matrimonio ci sia già. È una sottolineatura sgradevole ma che devo fare. È positivo dal mio punto di vista, perché anche le unioni civili hanno rappresentato un passo avanti. Ne abbiamo la prova in paesi come Paternò, dove non c’è Pride e probabilmente non ci sarà mai, anche se le iniziative accrescono tra Adrano e l’hinterland catanese. È più difficile che nei paesi arrivano questi temi, per cui una coppia fa notizia ma lancia anche un messaggio a concittadini e concittadine. È importantissimo, ci siamo già congratulati con le ragazze e aspettiamo il momento in cui questo non sarà più una notizia ma normalità».

Cancella quel retaggio culturale che è stato nostro per fin troppo tempo?
N: «Senz’altro ma purtroppo non ci sono solo belle notizie. Notizia uscita qualche giorno prima all’unione civile riguarda un nostro attivista, tra i più giovani, il quale è stato minacciato in via Umberto con un cacciavite da un uomo che, vedendo alcune spillette e simboli della comunità LGBT, ha pensato bene di minacciarlo. Un’aggressione che, pur difendendosi, permane un trauma per il ragazzo».

Se poteste ipoteticamente rivolgervi a chi critica o stereotipa il Pride e la comunità LGBT, cosa vorreste comunicare o far comprendere? Magari a chi reputa eccessiva la sfilata o qualsivoglia comportamento affettuoso che sarebbe trascurato fatto da una coppia etero?
N: «Il pride porta il messaggio radicale che i diritti delle persone vanno riconosciute a prescindere da chi quella persona sia, da quale sia il suo orientamento sessuale, la sua identità di genere e il suo modo di vestire. Non ce ne deve fregare nulla se ricca, povera, completamente nuda, jeans o maglietta o giacca e cravatta. Mi rendo conto che non è un messaggio facile da comprendere però se ci pensiamo un attimo possiamo essere tutti d’accordo no?! Il rispetto umano deve prescindere dall’abbigliamento o dall’aspetto. Il Pride porta questo messaggio anche in modi che alcuni possono definire estremo ma per me è giusto che ci sia quel modo. Io al Pride non ho mai usato look particolari. Sono andata sempre come vado tutti i giorni, al massimo portando i colori della bandiera arcobaleno, però mi diverto e sto bene anche con le persone che osano dei look stravaganti.
Invitiamo le persone che hanno dubbi a venire al Pride perché sono centinaia le persone che partivano con questi tipi di pregiudizi e poi, dopo aver partecipato, hanno respirato l’aria di libertà, si sono sentite bene e adesso non potrebbero fare a meno di partecipare. Da questo punto di vista, rimane la manifestazione più belle di tutte perché puoi trovare chiunque: dalle famiglie coi bambini a effettivamente chi decide di manifestare quasi nuda. E se all’interno dello spazio Pride queste due cose possono convivere senza conflitti, allora mi chiedo perché non nel quotidiano?! Invece chi pensa che dovremmo nascondere il nostro orientamento sessuale, perché magari anche in buona fede non si rende conto che quella che definisce ostentazione è un normale racconto di una vita, dico: se io vado in vacanza ma perché dovrei tacere che ci vado con la mia compagna? Se mi unisco civilmente ma perché dovrei tenerlo segreto? Spesso le persone eterosessuali non si rendono conto che in realtà loro non hanno bisogno di fare coming out ma lo fanno in continuazione: dalla foto sui profili social con la fidanzata o il fidanzato o la fede al dito ecc…. di fatto chiediamo semplicemente la stessa cosa, sicuramente non torneremo all’epoca del “Don’t Ask, Don’t Tell” in cui dovevamo nasconderci perché faticosamente ne siamo usciti.
Tutta la mia generazione è testimone di anni in cui sui banchi di scuola mai, mai, mai è stato possibile fare coming out. Io sono una privilegiata perché non avendolo fatto da studente non sono stata mai identificata come persona bisessuale, quindi ho vissuto la mia adolescenza tranquillamente se possiamo considerare felice il non poter mai esprimere liberamente chi si è. Tanti altri ragazzi gay con un’espressione di genere femminile questa possibilità, questo privilegio non ce l’hanno. Siamo stati testimoni di anni in cui veramente c’era un tabù fortissimo sul tema e adesso le cose stanno molto migliorando e gli adolescenti stessi sono i primi a portare la bandiera del pride o a chiamarci perché desiderano parlare di questi argomenti, però, ci vorrebbe anche più coraggio da parte delle istituzioni scolastiche, da parte del Ministero e in generale da parte della Società
».

Il messaggio a chi è esterno riguarda l’intenzione di essere umani ed essere liberi. Cosa ti sentiresti di dire a chi vive sotto pressione costante, a coloro che oltre le fasi adolescenziali hanno questo pensiero “ingombrante”, perché magari non sanno come esprimersi o come farsi valere senza essere calpestati. Ti sentiresti di dire qualcosa in particolare?
N: «Io voglio dire noi ci siamo e saremo sempre disponibili ad accogliervi ogni mercoledì dalle ore 16 alle 18 in via delle Finanze al Trame Cafè, in cui abbiamo uno sportello d’ascolto. Potete scriverci, incontrarci, contattarci dai social ma a prescindere il messaggio importante è che i ragazzi sappiano che c’è una comunità pronta ad accoglierli. Non sono soli al mondo: se le cose vanno male andranno sicuramente meglio e se sono in condizioni di poterlo fare, sottolineo dieci volte in sicurezza, facciano coming out. Se non lo sono attendano ma comunque noi ci siamo per aiutarli, abbiamo anche un gruppo rivolto ai famigliari e parenti di persone LGBT, dunque, se pensano che i loro genitori non sono del tutto ostili ma abbiano comunque bisogno di altre informazioni o di confronto con altri genitori che ci sono già passati, ricevendo il coming out di un figlio, noi siamo a disposizione».

Ai genitori cosa vorresti dire? A chi magari ha “difficoltà” nell’accettazione di un coming out?
N: «Genitori non preoccupatevi. Mi rendo conto che a nessuno di voi hanno mai detto che tra le possibilità ci fosse anche quella di avere un figlio gay, una figlia lesbica, bisessuale o trans, me ne rendo conto, però vi assicuro che siamo felici. Se col vostro sostegno lo siamo ancora di più».

Ci sono dei piccoli gesti che chiunque potrebbe fare per migliorare la società? Ed effettivamente serve un’associazione come la vostra a “difesa e tutela” della comunità LGBT?
N: «Noi vorremmo che non servisse, anzi non vediamo lora che non serva più, però al momento serve ancora tantissimo. Tutti possono essere partecipi di un cambiamento. I gesti quotidiano che si possono fare per sostenerci sono numerosissimi. Per esempio se vai a scuola e un tuo compagno ha fatto coming out come trans e ti sta chiedendo di usare dei pronomi, usali! Oppure se per esempio il 2 luglio anche se sei etero partecipi: ci sono delle leggi per noi importanti che possono cambiare in meglio la nostra vita, come in passato è stato per le unioni civili o come recentemente anche se ci sono poche speranze per il Ddl Zan, fai valere la tua voce e fai sentire la tua opinione sostenendoci».

Oltre quel che abbiamo già detto, vi sono altri modi per aiutarvi?
«Sicuramente attraverso le pagine social, soprattutto donando per il Catania Pride con il link di Buonacausa, aiutando nella realizzazione della manifestazione. È possibile anche trovarci nei punti dove organizziamo gli aperi-Pride: basta seguire le pagine perché comunichiamo di volta in volta le zone della città in cui ci ritroveremo. In quest’ultime occasioni si può fare una donazione fisica, con l’acquisto die nostri gadget, dunque potete in qualche modo donare e contribuire. Il link Buona causa (visibile qui) e tutte le informazioni relative le trovate nelle nostre pagine social».

Ringraziamo l’associazione Arcigay Catania, tutti i volontari e le volontarie dello stand e la “voce” del gruppo in questa occasione, la vice presidente Vera Navarria.