Se volessimo sintetizzare la visione dell’arte di Ettore Sottsass potremmo citare lo stesso fotografo: «Non c’è differenza tra una ceramica, un mobile, un’architettura, una fotografia, un testo, ognuno di essi è la punteggiatura rituale di un Tutto cosmico così». S’intitola “Catania mia” ed è la mostra fotografica di Ettore Sottsass: architetto, designer e fotografo, nato a Innsbruck e scomparso a Milano nel 2007 a 90 anni.
Sarà possibile ammirare la mostra fotografica “Catania mia” di Ettore Sottsass dal 21 novembre a al 21 maggio presso il Castello Ursino. Le sue immagini hanno un taglio netto e rigoroso, stampate in un bianco e nero o dai colori dai contorni definiti. Centoundici fotografie, realizzate a Catania negli anni novanta, saranno esposte nel Museo Civico “Castello Ursino”. La mostra è a cura di Barbara Radice con Iskra Grisogono e la direzione artistica di Christoph Radl.
L’esposizione è promossa e prodotta dalla Fondazione Oelle Mediterraneo Antico Ets in collaborazione con lo Studio Ettore Sottsass e in partnership con l’assessorato del Turismo dello Sport e dello Spettacolo del Comune di Catania. Il percorso espositivo, pensato e realizzato per l’open space, comprende scatti, quasi tutti inediti, realizzati negli anni novanta nel capoluogo etneo, una città per la quale ha sempre nutrito interesse e affetto.
Sottsass potrebbe essere definito un “fotoreporter della vita”. Ha cominciato a fare foto quando era ragazzo e da allora non ha più smesso. “Ero orribilmente curioso”, ha dichiarato lui stesso. Il direttore di Fondazione promotrice della iniziativa Carmelo Nicosia ha dichiarato: «Le fotografie di Sottsass raccontano una Catania colma di energia, un luogo amico, nel rispetto costante della diversità. Immagini che contengono come in molte delle sue molteplici creazioni linguistiche, la stupefazione dello sguardo, una meraviglia travolgente che costruisce una narrazione da viaggiatore appassionato di Sud: il Barocco, il mercato del pesce, le strade assolate, le scene di vita quotidiane, i personaggi della eterna drammaturgia pirandelliana, che affollano e urlano la vita, sono documentati con un ritmo mai retorico, spesso alla ricerca di un segno, di una texture singolare che giustifichi l’attenzione del fotografo».