Sono tanti i catanesi che, almeno una volta, hanno detto che A Sant’Aita prima s’arrubbanu e ‘ppoi ci ficiru i potti ri ferru”, ma forse pochi sanno la vera origine di questo antico detto.
La storia narra che, nel 1890, 12 statue in argento massiccio degli Apostoli e altri elementi decorativi sono stati rubati da un gruppo di 25 uomini, con la complicità del Canonico Di Maggio, che ha organizzato e guidato il furto durato per ben tre mesi.
Pochi sanno che capo della banda D’Aquino Francesco era il sagrestano, abile con la pistola e uno dei più temuti uomini di coltello di Catania di fine ‘800.
Durante il lungo e complicato processo non sono mancate minacce a parenti e a membri della banda e voci circa la complicità di alte cariche del Clero catanese e addirittura di intromissioni da parte delle famiglie mafiose.
Le porte di ferro attualmente visibili in Cattedrale sono state poste a protezione del busto reliquario solo dopo il furto avvenuto nella notte tra il 6 al 7 settembre 1889 di due ostensori d’oro del valore superiore a L. 50000 e di circa 180 kg d’argento pari a circa 94.000 € attuali di quello che rivestiva ed adornava il fercolo di S. Agata.
Fu da allora che a Catania si è soliti dire che “Dopu cà a S.Aita a rubbanu ci fìciunu i potti di ferru”, cioè che solo dopo che Sant’Agata è stata derubata è stata protetta con porte in ferro.