Femminicidio a Roma: la tragica fine di Annarita Morelli, vittima dell’ossessione coniugale
Roma, 8 agosto 2024 – La città è sconvolta dai dettagli inquietanti emersi in seguito al femminicidio di Annarita Morelli, una 72enne trovata morta al volante della sua auto nel quartiere di Fonte Nuova. L’omicidio è avvenuto a opera del marito, Domenico Ossoli, che non riusciva ad accettare la separazione dalla consorte. Secondo le indagini, l’uomo aveva pianificato il delitto con premeditazione e controllava costantemente i movimenti della donna.
“Piuttosto l’ammazzo”: una frase inquietante che riassume l’intensificarsi della tensione familiare. Ossoli, ex autista con una passione per la caccia, aveva espresso più volte ai figli la sua intenzione di non permettere alla moglie di procedere con la separazione. La denuncia di un figlio raccoglie le dichiarazioni del padre, che ha minacciato il peggio prima di agire.
Annarita era stata in una clinica veterinaria prima di quel tragico mattino, ignara di essere seguita dal marito, che aveva addirittura installato un dispositivo GPS sulla sua auto per monitorarla. L’ossessione dell’uomo per il controllo era palpabile, ma, stranamente, non risultavano denunce a suo carico.
La coppia stava affrontando una separazione legale; la prima udienza si era già svolta e il giudice aveva stabilito un mantenimento di 300 euro al mese. Ma Ossoli non sembrava intenzionato a rispettare tali disposizioni. La situazione era degenerata, e l’uomo, secondo testimonianze, aveva tentato di convincere ripetutamente la moglie a tornare sui suoi passi.
Il giorno dell’omicidio, Ossoli è uscito di casa armato di una beretta calibro 7,65, carica di proiettili, ed ha affrontato Annarita in un attimo di follia. Dopo il delitto, ha confessato a un tabaccaio della zona, dicendo, con una freddezza inquietante: “Sono stato io”. Gli investigatori hanno trovato registrazioni di conversazioni nella casa dell’uomo, unitamente a cassette e CD, con l’intento di verificare la presenza di messaggi intimidatori.
Ora, Ossoli si trova nel carcere di Rebibbia, accusato di omicidio aggravato dalla premeditazione. L’accusa evidenzia la volontà omicidiaria dell’uomo, che ha portato a termine un atto terribile in un contesto di vulnerabilità e paura.
Questo tragico episodio riporta l’attenzione pubblica sulla violenza domestica e sull’urgenza di interventi più efficaci per proteggere le vittime. Le minacce non sempre vengono ascoltate, e troppo spesso si giunge a esiti letali. La comunità è chiamata a riflettere, a vigilare e a supportare le donne nei loro diritti di libertà e sicurezza.