Diritti, Corte Ue: “Non riconoscere il cambio di genere viola il diritto dell’Unione”
In una storica sentenza, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che il rifiuto di uno Stato membro di riconoscere un cambio di prenome e di genere legalmente acquisito in un altro Stato membro è contrario ai diritti fondamentali dei cittadini dell’Unione. Questa decisione rappresenta un passo importante verso il rispetto dei diritti delle persone LGBTQ+ e sottolinea la necessità di un procedimento chiaro e prevedibile per il riconoscimento giuridico dell’identità di genere in tutti gli Stati membri.
Il caso ha avuto origine da un cittadino rumeno, registrato alla nascita come di sesso femminile, che si era trasferito nel Regno Unito nel 2008. Dopo aver acquisito la cittadinanza britannica, ha cambiato il suo prenome e il suo titolo di cortesia da femminile a maschile nel 2017. Nel 2020, ha ottenuto il riconoscimento legale della sua identità di genere maschile. Tuttavia, quando ha richiesto alle autorità rumene di aggiornare il suo atto di nascita per riflettere questi cambiamenti, le autorità hanno respinto la sua richiesta, costringendolo ad avviare un nuovo procedimento legale in Romania.
Di fronte a questo diniego, il cittadino rumeno ha fatto appello a un tribunale di Bucarest, chiedendo chiarimenti sulla conformità della normativa rumena al diritto dell’Unione Europea. La Corte di Giustizia ha confermato che il rifiuto della Romania di riconoscere i cambiamenti di identità di genere è in violazione dei diritti dell’Unione, indipendentemente dal fatto che la richiesta fosse stata presentata dopo la Brexit.
La Corte ha evidenziato che il cambiamento di prenome e di identità di genere era avvenuto prima e durante il periodo di transizione post-Brexit, confermando così la validità del riconoscimento legale effettuato nel Regno Unito. L’assenza di un adeguato riconoscimento giuridico non solo ostacola il diritto di libera circolazione e soggiorno all’interno dell’Unione, ma crea anche notevoli difficoltà pratiche nella vita quotidiana delle persone, come problemi di identificazione e disagi in ambito professionale e privato.
Inoltre, la Corte ha messo in evidenza che costringere le persone a intraprendere nuovi procedimenti di cambiamento di identità in un altro Stato membro espone gli interessati a risultati imprevedibili e differenti da quelli già ottenuti altrove. Questo scenario risulta inaccettabile e contrasta con i principi di dignità e rispetto dei diritti umani che dovrebbero governare le relazioni tra i cittadini dell’Unione.
In sintesi, la sentenza della Corte di Giustizia rappresenta un importante riconoscimento dei diritti delle persone transgender in Europa, affermando chiaramente che il riconoscimento dell’identità di genere è un diritto fondamentale e un imperativo per tutelare la libertà e la dignità di ogni cittadino europeo. Si richiede ora che gli Stati membri adottino misure per garantire l’effettivo rispetto di questi diritti fondamentali, attraverso procedure di riconoscimento giuridico chiare e accessibili a tutti.