Gaza, una “safe zone” che non è sicura | La verità sconcertante sulla vita dei due milioni di sfollati nell’inferno della Striscia

A Gaza, la sopravvivenza umana è al limite: la testimonianza di Emergency a un anno dal 7 ottobre

Roma – A un anno dall’inizio dell’offensiva israeliana contro Hamas, la situazione a Gaza è descritta da Stefano Sozza, capomissione di Emergency, come “stremante, proibitiva, al limite della sopravvivenza umana”. Oltre 2 milioni di persone si trovano attualmente in una condizione di emergenza persistente, con una popolazione praticamente sfollata che vive in quelle che sono state designate come “safe zone”, ma che in realtà sono tutto fuorché sicure.

In seguito all’assalto di Hamas, avvenuto il 7 ottobre 2023, l’operazione militare israeliana ha portato a un bilancio tragico: quasi 42.000 morti e 100.000 feriti, fra cui una larghissima parte sono donne e bambini. Le conseguenze di questo conflitto si riflettono in una crisi umanitaria senza precedenti, con la maggior parte della popolazione costretta a lasciare le proprie abitazioni.

Emergenza sanitaria: una clinica auspicata ma mai concretizzata

Emergency ha avviato operazioni nella Striscia solo il 15 agosto 2024, dopo aver atteso a lungo il permesso da parte delle autorità israeliane per poter operare. Sozza sottolinea l’urgenza di costruire una clinica che offra servizi di base, ma il via libera continua a tardare: “Facciamo pressioni tramite le Nazioni Unite affinché arrivi il permesso definitivo per essere operativi prima dell’inverno, un periodo critico per la salute pubblica”, afferma.

La popolazione è accalcata in aree definite “safe zone”, ma che sono in realtà caratterizzate da una gravissima mancanza di risorse. “Oltre l’80% della superficie della Striscia è stata interessata da ordini di evacuazione”, avverte Sozza, evidenziando come le zone destinate a offrire sicurezza siano frequentemente bersaglio di attacchi.

Condizioni di vita disumane: scarsità di cibo e servizi

Le strutture di fortuna in cui sono costrette a vivere le famiglie non offrono alcuna privacy e sono inadeguate per garantire dignità e sicurezza. Le necessità fondamentali come cibo, acqua potabile e assistenza sanitaria restano insoddisfatte, e i prezzi dei beni essenziali sono diventati inaccessibili per chi ha già perso tutto. “La sfida è arrivare a fine mese, mettendo un pasto sulla tavola”.

Inoltre, la guerra ha devastato il sistema educativo e sanitario. Le scuole, che già soffrono di un grave deficit di insegnanti, sono state trasformate in rifugi per sfollati, annullando di fatto l’anno scolastico. Gli ospedali sono al collasso, con solo 12 delle 36 strutture attive e un rischio crescente di epidemie a causa della distruzione delle reti fognarie e della scarsità d’acqua. “I malati di cancro, in assenza dei trattamenti necessari, sanno che moriranno”, afferma Sozza, sottolineando la drammaticità della situazione.

Inaccessibilità e necessità di aiuti umanitari

La chiusura dei confini rende impossibile l’uscita da Gaza, complicando ulteriormente la già grave crisi umanitaria. Solo un numero limitato di malati gravi riesce ad ottenere l’autorizzazione per recarsi in ospedali Israeli o egiziani. “Emergency continua a chiedere, insieme alle altre organizzazioni umanitarie, l’accesso agli aiuti e il cessate il fuoco”, conclude Sozza, avvertendo che la ricostruzione richiederà uno sforzo straordinario, da iniziare al più presto se si desidera evitare un ulteriore deterioramento della situazione.

La testimonianza di Emergency mette in luce un dramma che continua a esigersi, chiamando il mondo intero alla responsabilità e all’azione in un contesto di emergenza umanitaria che non può essere ignorato.