Solo il 10% dei migranti espulsi viene rimpatriato: gli altri restano “prigionieri” nei Cpr italiani
ROMA – Un’impressionante analisi del sistema di detenzione per migranti in Italia svela una realtà allarmante: solo il 10% dei migranti espulsi dai Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr) viene effettivamente rimpatriato. Questo dato emerge dal report “Trattenuti 2024”, realizzato da ActionAid in collaborazione con l’Università di Bari, che denuncia la condizione disumana e altamente inefficace di questi centri, definiti luoghi che violano i diritti umani.
Cinquantamila migranti detenuti dal 2014 al 2023: La ricerca indica che oltre cinquantamila persone sono state trattenute in questi centri, che secondo i rapporti violano sistematicamente i diritti fondamentali degli individui. “Il sistema dei Cpr si presenta come un modello di disumanità e gestione fallimentare”, affermano gli autori dello studio, evidenziando un “caos amministrativo e costi astronomici” nel contesto di un continuo deterioramento delle condizioni di vita.
La Sicilia come nuovo hub di trattenimento: La Regione siciliana è emersa come fulcro per il “trattenimento leggero” dei richiedenti asilo. Dalla Sicilia, infatti, parte il 54% dei rimpatri nazionali, con una preponderanza di cittadini tunisini, che nel 2023 hanno rappresentato l’85% dei rimpatri. Tuttavia, è importante notare che i cittadini tunisini costituiscono meno dell’11% degli arrivi totali in Italia nel 2023, facendo emergere una disparità tra le procedure di espulsione e le effettive pratiche di rimpatrio.
Politiche fallimentari e costi esorbitanti: Il report evidenzia un tasso di efficacia delle politiche di detenzione che rasenta l’irrilevante: “Solo il 10% delle persone colpite da un provvedimento di espulsione sono state rimpatriate”, afferma Fabrizio Coresi, esperto di migrazioni per ActionAid. I centri di detenzione, pertanto, si configurano non solo come luoghi di privazione della libertà, ma come indicatori di un sistema produttore di inefficienze e sprechi.
Record negativi nei costi di gestione: I costi per la gestione dei Cpr sono astronomici. A Torino, ad esempio, il costo del Cpr, chiuso nel marzo 2023, ha superato i 3 milioni di euro, mentre a Roma, la gestione ha richiesto quasi 6 milioni di euro tra il 2022 e il 2023. “In molte strutture, il costo medio di un posto supera i 71.500 euro all’anno, dimostrando l’insostenibilità economica del sistema”, aggiunge Coresi.
Una gestione opaca e senza regole: I centri sono gestiti da cooperative e società di profitto, necessitando di una maggiore trasparenza e responsabilità nell’amministrazione. Caresi nota che “alcuni gestori, esclusi da precedenti contratti per illecito, continuano a gestire Cpr in altre regioni, sfruttando la mancanza di controlli”.
L’inefficacia dell’approccio attuale: Nonostante l’ingente somma di denaro investita nei Cpr, i risultati restano deludenti. “Dal 2017 si rimpatria di meno, a costi più alti e in maniera sempre più coercitiva”, afferma Giuseppe Campesi, esperto di detenzione amministrativa. L’impegno delle istituzioni nella creazione di nuovi centri, come quelli previsti dal Decreto Cutro in Sicilia, appare come una soluzione temporanea a un problema che richiede un approccio complessivo e rispettoso dei diritti umani.
In conclusione, la situazione attuale dei Cpr in Italia è sintomatica di un sistema inefficace e costoso, che non solo limita i diritti dei migranti, ma impegna anche risorse pubbliche in maniera insostenibile. È necessario un cambiamento urgente nella gestione e nelle politiche relative all’immigrazione, per garantire dignità, umanità e sostenibilità a un sistema che mostra evidenti segni di fallimento.