Netanyahu licenzia il ministro della Difesa: tempismo strategico in attesa di Trump
Nella notte elettorale statunitense, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha preso una decisione sorprendente, licenziando il suo ministro della Difesa, Yoav Gallant. Il tempismo di questa mossa non è casuale e sembra mirato a sfruttare l’attenzione globale concentrata sugli Stati Uniti. Heggai Matar, direttore di +972 Magazine, ha analizzato la situazione evidenziando come Netanyahu possa aver calcolato che, in un momento in cui molti occhi sono puntati oltre oceano, la sua azione non avrebbe suscitato una forte reazione.
Gallant, noto per le sue posizioni critiche nei confronti dell’attuale offensiva militare sulla Striscia di Gaza e in Libano, ha recentemente sostenuto l’idea di un ritiro delle truppe israeliane. Recentemente, Gallant è diventato la voce di molti alti ufficiali dell’esercito, che valutano la sconfitta di Hamas come un’opportunità per il ritorno a casa dei soldati. Tuttavia, il licenziamento è avvenuto in un contesto di tensioni crescenti, con proteste scoppiate in diverse città israeliane, inclusa Tel Aviv, dove i cittadini mostrano un crescente dissenso verso le politiche del governo di Netanyahu.
Secondo Matar, l’atmosfera di malcontento è palpabile, e le manifestazioni proseguono anche sotto la residenza del primo ministro a Gerusalemme. Le associazioni che rappresentano le famiglie degli ostaggi e le frange della popolazione che invocano un cessate il fuoco sono particolarmente attive nella loro richiesta di cambiamento.
Con la situazione incerta e i primi risultati delle elezioni americane che vedono Donald Trump in vantaggio, l’attenzione si sposta su cosa comporterà questo per il futuro di Israele. Matar è cauto: “Difficile dirlo”, afferma, sottolineando che fa parte della strategia di Netanyahu ricevere un potenziale via libera da Trump per l’annessione e ulteriori insediamenti. Tuttavia, esiste anche un’altra possibilità: una volta rientrato in carica, Trump potrebbe fare pressioni su Netanyahu affinché ponga fine ai conflitti in corso.
“Nessuno può esserne certo”, conclude Matar, “probabilmente neanche Trump sa quale sarà la sua prossima mossa”. In un contesto politico così volatile, resta da vedere se le ambizioni di Netanyahu troveranno spazio nel panorama internazionale o se, al contrario, sarà costretto a fare i conti con una nuova realtà imposta da un Trump in fase di rientro.