Un testimone chiave al processo Regeni: “L’ho visto bendato e sfinito dalla tortura”
ROMA – La ricerca della verità sulla morte di Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano la cui scomparsa ha scosso l’opinione pubblica, ha fatto un ulteriore passo avanti oggi in aula. Un ex detenuto palestinese ha testimoniato, ripercorrendo momenti drammatici e agghiaccianti vissuti settimane prima della tragica morte di Regeni.
“Giulio Regeni era ammanettato con le mani dietro la schiena, con gli occhi bendati” ha dichiarato il testimone, descrivendo un incontro avvenuto nel carcere egiziano degli 007. Secondo quanto riportato in un video proiettato durante il processo, l’uomo ha assistito alla scena il 29 gennaio 2016. “Era tra due carcerieri che lo portavano a spalla. Lo stavano riportando alle celle”, ha aggiunto, evidenziando la fragilità e il dolore visibile del ricercatore friulano.
La testimonianza è stata presentata in una corte di giustizia di Roma mentre continuano le formalità legali contro quattro ufficiali egiziani accusati di essere coinvolti nella sua morte: il generale Tariq Sabir e i colonnelli Athar Kamal, Uhsam Helmi, e il maggiore Magdi Ibrahim Abdel Sharif.
In un dettagliato racconto, il testimone ha descritto le condizioni in cui era detenuto Regeni. “Non era nudo, indossava abiti scuri e una maglietta bianca. Ho visto un altro detenuto con segni di tortura sulla schiena” ha detto, mettendo in luce il clima di terrore che caratterizzava quegli interrogatori.
Il testimone ha anche narrato dei metodi brutali usati durante gli interrogatori che Regeni avrebbe subito: “I carcerieri insistevano molto con alcune domande, ‘Giulio dove hai imparato a superare le tecniche per affrontare l’interrogatorio?’ Ricordo più volte queste parole”. La tortura con corrente elettrica sembra essere stata una delle pratiche utilizzate nel tentativo di estorcere informazioni.
In aula, durante l’udienza, è intervenuta anche Irene Regeni, sorella di Giulio, che ha condiviso ricordi personali e la sofferenza di una perdita incolmabile. “Mio fratello era un ragazzo normalissimo, generoso e buono”, ha detto, descrivendo il forte legame fraterno. Ha anche parlato della passione di Giulio per la cultura egiziana, sottolineando l’entusiasmo con cui si era avventurato in questa nuova esperienza lavorativa.
La testimonianza del palestinese e le parole di Irene rappresentano un passo significativo nel lungo percorso di ricerca della verità sulla morte di Giulio Regeni. La comunità internazionale continua a seguire con attenzione il processo, sperando che finalmente ci si possa avvicinare a una giustizia che si fa attendere da anni.