Dal carcere di Saydnaya riemerge il corpo senza vita di Mazen Al-Hamada: l’attivista che denunciò le torture di Assad
ROMA – A quattro anni dalla sua scomparsa, il corpo di Mazen Al-Hamada, attivista per i diritti umani e simbolo della lotta contro le violenze del regime di Bashar Al-Assad, è stato rinvenuto nel carcere di Saydnaya. Quest’ultimo è tristemente noto per le atrocità e le torture che vengono perpetrate al suo interno, tanto che Amnesty International lo ha definito “il mattatoio”.
Le spoglie di Al-Hamada, 47 anni, sono state trovate nell’obitorio dell’ospedale Harasta, dove i corpi dei detenuti venivano “smaltiti” prima di essere sepolti in fosse comuni. Le condizioni del suo corpo, segnato da evidenti segni di tortura, hanno scosso profondamente gli attivisti e le organizzazioni per i diritti umani. Diversi testimoni hanno descritto il suo volto in un’espressione di dolore “indicibile”, lasciando senza parole chi ha potuto visionarlo.
Sami Haddad, docente di Lingua araba all’università L’Orientale di Napoli e di origini siriane, ha commentato la scoperta sottolineando che “ciò che emerge dalle carceri del regime siriano supera ogni immaginazione.” La sua dichiarazione evidenzia come il corpo di Al-Hamada, rinvenuto insieme a oltre quarantacinque altri, rappresenti solo una parte di una tragica realtà.
Mazen Al-Hamada era conosciuto per il suo attivismo a favore dei diritti umani e per le sue denunce delle torture subite dai prigionieri politici, un impegno iniziato con le manifestazioni pacifiche del 2011. Il suo ruolo lo aveva già portato ad essere arrestato tre volte tra il 2011 e il 2012, ma dopo un’ammenda era riuscito a fuggire in Olanda, dove aveva proseguito la sua battaglia per la giustizia.
In Olanda, Al-Hamada aveva collaborato con gruppi per i diritti umani, rendendo pubbliche le violenze fisiche, sessuali e psicologiche inflitte dai funzionari governativi. Si era anche dedicato alla documentazione di queste atrocità attraverso il ‘Progetto Caesar’, un archivio di oltre 55mila fotografie di corpi senza vita, frutto del lavoro di un ex funzionario siriano.
Dopo anni di attivismo all’estero, nel 2020, spinto dall’immobilismo della comunità internazionale e dalla speranza di un cambiamento, Al-Hamada decise di tornare in Siria, solo per essere arrestato all’arrivo. La sua morte aggrava ulteriormente la situazione dei diritti umani in Siria e solleva interrogativi sulla responsabilità delle nazioni occidentali nel non intervenire in supporto del popolo siriano.
Con la sua scomparsa, il mondo ha perso non solo un attivista coraggioso, ma anche una voce che cercava di ridare giustizia a molte vite spezzate. La sua storia rimarrà una testimonianza della brutalità del regime e della resistenza di una società civile che continua a combattere per la libertà e i diritti fondamentali.