Mamma strappata al figlio: la verità che nessuno vuole sentire sulla psicosi puerperale

La storia di Luisa e Luca: un dramma familiare che solleva interrogativi sulla giustizia

ROMA – La vicenda di Luisa (nome di fantasia) e di suo figlio Luca, di soli sei anni, si sta trasformando in un caso emblematico che mette in luce le problematiche del sistema giudiziario in materia di diritto di famiglia. Secondo quanto riferito dalla madre, il piccolo è stato tolto dalla sua custodia e trasferito presso il padre, con gravi conseguenze per il delicato equilibrio affettivo e psicologico del bambino.

La madre denuncia: "Vedo mio figlio solo una volta alla settimana"

Luisa si sente "mortificata come madre, donna e lavoratrice" e afferma che il diritto di Luca a un rapporto stabile e continuativo con lei è stato negato. “Vedo mio figlio una volta alla settimana in modalità protetta e sono controllata come se fossi una criminale” denuncia. La situazione è ulteriormente aggravata dalla decisione dei servizi sociali di concederle un solo incontro a settimana, contrariamente a quanto stabilito dal decreto del tribunale.

Luisa accusa la consulenza tecnica d’ufficio (CTU) di aver redatto una perizia che attesta una "psicosi puerperale" in lei, un disturbo che, secondo le linee guida sanitarie, dovrebbe manifestarsi nel periodo post-partum, ma che è stato diagnosticato anni dopo il parto. “Nonostante la mia cartella clinica smentisca questa falsa diagnosi, il giudice continua a ignorarla”, lamenta Luisa.

Un sistema che ignora le denunce di violenza

Le dinamiche che caratterizzano questa storia sono allarmanti: Luisa ha denunciato il padre di Luca per violenze fisiche, affermando che il bambino tornava spesso a casa con lividi. Tuttavia, “le denunce sono state archiviate”, e la situazione si è capovolta contro di lei, etichettata come alienante sulla base di una perizia che non ha tenuto conto dei racconti del bambino.

Luca ha espresso la sua paura e il suo malessere durante gli incontri con i servizi sociali. “Quando andava dal padre mi diceva ‘proteggimi’ e raccontava di essere menato e chiuso in cameretta al buio”. La mamma ha anche raccolto prove sotto forma di audio e note del bambino che documentano comportamenti violenti da parte del padre e dei nonni paterni, ma queste informazioni sembrano essere state ignorate.

Le critiche agli esperti e al sistema giudiziario

La situazione di Luisa e Luca è stata esaminata da esperti di diritto familiare. L’avvocato Alfredo Di Costanzo ha sottolineato come “si sia di fronte a un caso dove sono stati commessi tanti errori, dal non indagare sulle violenze denunciate all’aver diagnosticato inesistenti patologie”. Inoltre, ha messo in evidenza il rischio della cosiddetta “sindrome da alienazione parentale” (PAS), una teoria che spesso sminuisce le denunce di violenza domestica.

Un appello per una giustizia giusta

Luca e Luisa rappresentano una realtà che richiama l’attenzione sull’urgenza di riformare un sistema che, come evidenziato dall’avvocato Castaldi, “è lontano anni luce dai canoni di efficienza ed efficacia”. La prosecuzione di questo caso, nel contesto di un apparato giuridico che trova difficoltà a riconoscere e affrontare le violenze domestiche, è fonte di preoccupazione per coloro che lavorano nel campo della giustizia e della protezione dei minori.

Conclusione

Le parole di Luisa, desiderosa di riunirsi con suo figlio e di garantire il suo diritto a una vita serena e protetta, ci rammentano che al di là delle aule di tribunale ci sono vite umane coinvolte. “Chi si occupa dei diritti dei bambini e delle madri in questo paese?” è la domanda che resta in sospeso, in un contesto in cui il bene supremo dovrebbe sempre essere il benessere dei più vulnerabili.