
Il Guardian: Airbnb e Booking tra le terre palestinesi usurpate
Un’inchiesta pubblicata dal Guardian svela un legame inquietante tra il settore turistico e le terre confiscate ai palestinesi. Secondo lo studio, i portali di prenotazione Airbnb e Booking.com mettono a disposizione degli utenti 760 appartamenti, camere d’hotel e altre soluzioni di affitto per le vacanze, situati in insediamenti israeliani considerati illegali dal diritto internazionale, tra cui Gerusalemme Est.
La situazione è aggravata dalla realtà quotidiana dei palestinesi, la maggior parte dei quali vive sotto un regime di controllo militare dal 1967. L’esercito israeliano occupa la Cisgiordania, limitando la libertà di movimento e di commercio dei 2,5 milioni di palestinesi residenti. Gli spazi in cui possono vivere e lavorare sono diventati sempre più ristretti, mentre le terre rubate sono rivendute grazie al supporto delle multinazionali turistiche.
Tra gli esempi citati nel report, emerge il caso di Tekoa, un insediamento a sud di Betlemme che è cresciuto da base militare a una comunità residenziale di oltre 4.000 abitanti. Qui, i coloni hanno instaurato un’atmosfera turistica con centri ricreativi, pizzerie, e persino festival, mentre ai palestinesi è generalmente vietato l’accesso se non in rare occasioni. Proprio all’interno di questa realtà convivono 17 proprietà pubblicizzate su Airbnb, vendute come esperienza idilliaca in un contesto di illegalità.
Ad Avnat, un altro insediamento costiero, le recensioni degli host celebrano la bellezza del Mar Morto e la comodità degli appartamenti. Con prezzi che oscillano tra 100 e 400 dollari a notte, gli affitti attraggono visitatori promettendo un “paradiso” e una “vacanza per il corpo e l’anima.” Tuttavia, questa narrativa ignora le violazioni dei diritti umani che caratterizzano queste terre.
La risposta delle aziende ai rilievi del Guardian non si è fatta attendere. Alcuni proprietari degli immobili in questione hanno accusato il giornale di avere una visione parziale e di fomentare sentimenti antisemiti. Ma queste dichiarazioni non fermano le critiche delle organizzazioni umanitarie, che avvertono del pericolo insito nel normalizzare la situazione degli insediamenti attraverso pratiche turistiche.
Le multinazionali Airbnb e Booking.com sono ora nel mirino delle critiche per il loro coinvolgimento in pratiche che violano il diritto internazionale. Il Guardian sottolinea che, operando negli insediamenti, le aziende contribuiscono a sostenere un regime di apartheid, come descritto da esperti di diritti umani. “Qualsiasi azienda che faccia affari in queste aree consente un crimine di guerra e contribuisce a mantenere un sistema di oppressione”, ha accusato Kristyan Benedict di Amnesty International UK.
La controversia non è recente. Airbnb, in particolare, aveva annunciato nel 2018 l’intenzione di rimuovere alcuni annunci dalle zone occupate, ma ha successivamente annullato il provvedimento. L’azienda ha dichiarato di destinare i profitti provenienti dalla Cisgiordania a organizzazioni umanitarie, ma il dibattito rimane acceso sul fatto che queste azioni possano annullare le responsabilità verso la realtà che si cela dietro i loro affitti.
Infine, in un contesto di crescente attenzione globale sui diritti umani, la situazione in Cisgiordania rimane critica. La possibilità che la pressione internazionale possa costringere le aziende a rivedere le loro pratiche è lontana, ma gli attivisti continuano a lottare affinché le violazioni siano riconosciute e affrontate. I crimini di guerra, avvertono, non dovrebbero mai essere considerati un’attrazione turistica.