La triste verità sugli Hikikomori in Italia | Perché nessuno parla di questi giovani invisibili?

Giovani Prigionieri in una Stanza: Il Grido Silenzioso degli Hikikomori

ROMA – Un fenomeno in crescente espansione: si stima che in Italia siano oltre 100mila i giovani che vivono la condizione di Hikikomori, una realtà che spesso rimane invisibile. Questo tema è stato al centro di una conferenza stampa svoltasi alla Camera, organizzata dal capogruppo del Movimento 5 Stelle in Commissione Cultura, Antonio Caso, e dall’associazione Hikikomori Italia. Durante l’incontro, gli interventi di esperti e genitori hanno messo in luce la gravità di una situazione che necessita di un’attenzione immediata e efficace da parte delle istituzioni.

Gli Hikikomori rappresentano un disagio profondo, un rifiuto radicale della società che porta molti giovani a isolarsi nelle proprie stanze per mesi, quando non addirittura per anni. Non semplici adolescenti timidi o in fase di crescita, ma ragazzi che, privi di supporto e comprensione, si trovano a lottare contro un mondo esterno che percepiscono come ostile. Il silenzio di queste stanze cariche di sofferenza è interrotto solamente dal ticchettio delle dita su una tastiera e dal bagliore blu di uno schermo.

Le cause di questo isolamento sono molteplici: pressioni sociali, ansia da prestazione, bullismo e problematiche familiari si intrecciano, creando un terreno fertile per il ritiro sociale. Elena Carolei, presidente di Hikikomori Italia Genitori, ha evidenziato come le famiglie siano spesso impotenti, bloccate tra la speranza che la situazione si risolva da sola e la paura di peggiorarla ulteriormente. “Il silenzio è il terreno fertile di questo isolamento”, ha affermato.

I genitori dei ragazzi Hikikomori si trovano ad affrontare un duplice ostacolo: devono interiormente riconoscere la gravità del problema e, al contempo, cercare di affrontare pregiudizi e incomprensioni esterne. “Le scuole devono comprendere che i genitori non sono negligenti”, ha sottolineato Carolei, evidenziando la necessità di un approccio pedagogico più comprensivo e attento.

In Italia, i numeri restano sottostimati: sebbene si calcoli che vi siano tra i 50mila e i 60mila giovani in isolamento sociale, il fenomeno dell’Hikikomori sfugge alle statistiche ufficiali. Marco Crepaldi, presidente di Hikikomori Italia, ha mappato le fasi di isolamento: dalla “fase 1”, in cui il giovane abbandona le attività extrascolastiche, alla “fase 3”, quella più grave, in cui il ragazzo vive completamente ritirato.

Cosa fare per aiutare chi non vuole essere aiutato? “Il nostro compito è ascoltare. La reazione immediata dei genitori potrebbe essere quella di spingere il figliolo a uscire, ma questo atteggiamento spesso amplifica il problema”, ha spiegato Carolei. L’aiuto può arrivare solo attraverso la comprensione e la ricostruzione della fiducia all’interno delle mura domestiche.

Antonio Caso ha richiesto un intervento concreto da parte della politica per affrontare questo problema. “Negli ultimi mesi abbiamo discusso e approvato mozioni all’unanimità, ma senza impegni concreti”, ha osservato. La conferenza ha cercato di mantenere accesa l’attenzione su una condizione sempre più allarmante, auspicando l’implementazione di protocolli di intervento nelle scuole e avviando un dialogo tra famiglie, istituzioni e società.

Un approfondimento sul tema è stato fornito anche da Rajae Bezzaz, che ha evidenziato come la pressione sociale possa colpire tanto i giovani quanto gli adulti, portando alla scelta di chiudersi nel proprio mondo senza competere. “La nostra società richiede tanto, e non tutti ce la fanno”, ha ribadito, evidenziando la necessità di una maggiore consapevolezza.

Uscire dalla spirale dell’isolamento non è semplice, ma è possibile. Servono ascolto e comprensione per ogni Hikikomori, non solo statistiche. Ogni giovane rappresenta una storia unica che attende di essere raccontata, un grido silenzioso che merita di essere ascoltato, affinché si possa finalmente aprire quella porta chiusa e tornare a vivere.