
A uccidere mia sorella è stato il menefreghismo per gli stadi di violenza: la rabbia di Elena Cecchettin dopo le motivazioni dei giudici.
ROMA – Le parole di Elena Cecchettin, sorella della vittima Giulia, risuonano forti e chiare dopo la sentenza della Corte d’Assise di Venezia, che ha condannato il giovane Filippo Turetta all’ergastolo per l’orribile omicidio della sorella, avvenuto l’11 novembre 2023. "Una sentenza simile, in un momento storico come quello che stiamo vivendo, non solo è pericolosa, ma segna un precedente terribile", ha dichiarato Elena in un commosso sfogo sui social.
La condanna è il risultato di un crimine efferato, in cui Turetta ha inferto a Giulia ben 75 coltellate, prima di gettare il suo corpo in un dirupo. Questo tragico evento ha messo in luce non solo l’atto di violenza, ma anche tutta una serie di questioni più ampie legate alla percezione sociale della violenza di genere.
"Se non iniziamo a prendere sul serio la questione, tutto ciò che è stato detto su Giulia, che doveva essere l’ultima, sono solo parole al vento", ha continuato Elena nel suo intervento. La sorella della vittima ha espresso una forte preoccupazione per il modo in cui i giudici hanno trattato le aggravanti, sottolineando l’importanza di riconoscere la violenza di genere non solo quando essa si manifesta in atti fisici, ma anche nei segnali premonitori.
Elena ha invocato una riflessione più profonda sulla società, evidenziando come "la giustificazione e il menefreghismo per gli stadi di violenza" possano condurre a esiti fatali. Questo punto di vista invita a considerare la violenza di genere come un problema radicato, non solo come la conseguenza di un atto violento isolato.
Nonostante la gravità della situazione, Elena ha fatto eco a un sentimento di frustrazione: "Onestamente penso che nemmeno un numero di coltellate così elevato sia sufficiente ad essere considerato crudeltà". Le sue parole insinuano una critica profonda contro un sistema che, spesso, non riesce a garantire giustizia per le vittime di femminicidio e che riduce la complessità della violenza a dati numerici.
Infine, ha messo in discussione la definizione di “inesperto” utilizzata nei tribunali, in riferimento a chi ha progettato così meticolosamente un omicidio. "Se una persona riesce a fuggire alle forze dell’ordine per una settimana prima di essere catturata, allora si può dire chiaramente che non ci importa della vita umana, della vita di una donna". Queste affermazioni pongono un interrogativo cruciale sulla nostra responsabilità collettiva nel prevenire tali tragedie e nel riconoscere le radici profonde della violenza di genere.
La storia di Giulia Cecchettin non è solo un caso giudiziario; è un grido di aiuto affinché la società intera prenda coscienza delle dinamiche di violenza che minacciano la vita di molte. La lotta per la giustizia non finisce con una sentenza, ma continua nelle azioni e nei discorsi di chi, come Elena, si fa portavoce di una causa indispensabile.