Ultra-ortodossi israeliani reagiscono: sciogliere il parlamento per fermare Netanyahu? | Scopri perché questa crisi potrebbe cambiare tutto!

Agli ultra-ortodossi israeliani piace la guerra, ma non vogliono farla: crisi politica in Israele

ROMA – La situazione politica in Israele si fa sempre più tesa. Benjamin Netanyahu si trova in un vicolo cieco, intrappolato in una coalizione segnata da continui conflitti interni e minacciato da elezioni anticipate. In questo contesto di debolezza, l’opposizione israeliana sta per mettere ai voti una mozione per lo scioglimento della Knesset, il parlamento nazionale.

Seppur un voto per lo scioglimento non porterebbe immediatamente alla caduta del governo, è un segnale chiaro di una crisi profonda. La mozione, imparagonabile in altre circostanze, riflette le contraddizioni interne che logorano l’attuale esecutivo. Al centro del dibattito, torna a riemergere la controversa questione dell’esenzione dal servizio militare per gli ultraortodossi, una pratica consolidata da decenni ma divenuta esplosiva dopo gli eventi tragici del 7 ottobre, quando Hamas ha perpetrato un attacco mortale, seguito da escalation nel conflitto a Gaza.

L’alleanza tra i partiti religiosi, Shas e United Torah Judaism, e il Likud di Netanyahu è ora appesa a un filo. Entrambi i gruppi politici hanno espresso chiari segnali di dissenso, minacciando di unirsi all’opposizione se venissero introdotte proposte per limitare le esenzioni dal servizio militare. Questa scelta potrebbe, infatti, ridisegnare gli equilibri di potere all’interno della Knesset.

I numeri sono chiari: 18 seggi, quelli detenuti dai partiti ultraortodossi, sarebbero sufficienti a far crollare la maggioranza di 68 su 120 di cui gode Netanyahu. Se i partner di coalizione decidessero di defezionare, le probabilità che la mozione per lo scioglimento della Knesset passi si alzerebbero notevolmente, avviando un processo potenzialmente letale per la stabilità del governo.

L’opposizione, mentre caldeggia una riforma sulla coscrizione, mira a un obiettivo ben più ambizioso: far cadere Netanyahu e riportare il Paese al voto. Per loro, si tratterebbe di un’occasione imperdibile per archiviare un governo che è notoriamente il più a destra e religiosamente conservatore della storia israeliana, in carica dal 2022 e che teoricamente dovrebbe restare in sella fino all’autunno del 2026.

In questo clima incerto, la questione dell’esenzione militare per gli ultraortodossi continua a generare conflitti e divisioni politiche, ponendo Israele di fronte a una cruciale scelta di identità e governance. L’esito di questa battaglia parlamentare non solo potrà determinare il futuro politico di Netanyahu, ma influenzerà anche il percorso del Paese verso un possibile rinnovamento democratico o verso una stagnazione ulteriore.