
Un altro detenuto suicida a Roma: si scava nel malessere di Rebibbia
ROMA – La casa circondariale di Rebibbia torna a essere al centro della cronaca per una tragica notizia: un uomo di 54 anni, romano, è stato trovato impiccato nella sua cella singola. Questo episodio segna il 41esimo suicidio di detenuti nell’istituto penitenziario dall’inizio dell’anno, un numero tragicamente elevato che solleva interrogativi inquietanti sulla condizione dei carcerati in Italia.
L’uomo, che aveva lavorato nella cucina del carcere fino a qualche mese fa, è stato ritrovato nella sua cella al primo piano del reparto G-12. Una notizia che ha destato l’ira e la preoccupazione della UILPA Polizia Penitenziaria, la quale denuncia un sistema detentivo in grave difficoltà. “Un sistema che infligge la pena di morte di fatto”, ha dichiarato Gennarino De Fazio, segretario generale della UILPA.
Sovraffollamento e carenze strutturali: a Rebibbia attualmente ci sono 1.565 detenuti, oltre il 143% della capienza massima prevista di 1.068. Una situazione insostenibile che ha portato a conseguenze drammatiche, come evidenziato da De Fazio: “Troppo poco se ancora ci si può suicidare.” La commissione appena costituita dal Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, è stata criticata: si teme che le misure proposte possano aumentare ulteriormente il numero di detenuti piuttosto che affrontare le radici del problema.
Anche il personale carcerario vive una realtà difficile. Con soli 650 agenti a fronte di un fabbisogno di almeno 1.137, i carichi di lavoro diventano insostenibili. De Fazio sottolinea che le turnazioni non hanno un limite, esponendo gli agenti a condizioni lavorative inaccettabili, anche di 26 ore ininterrotte. “Si tratta di un caporalato di Stato”, accusa, chiedendo misure immediate per deflazionare la densità detentiva e potenziare gli organici.
Il malessere di Rebibbia è sintomo di un problema più ampio, che coinvolge l’intero sistema penitenziario italiano. Le recenti statistiche sui suicidi, non solo fra i detenuti ma anche tra gli operatori, devono servire da campanello d’allarme per le Autorità. Sempre più voci si levano in difesa dei diritti dei detenuti e del personale, chiedendo riforme strutturali e maggiori investimenti per ridurre il sovraffollamento e garantire un ambiente di detenzione dignitoso.
Il caso di oggi rappresenta non solo una tragica perdita, ma una chiamata all’azione per mettere in luce le inefficienze di un sistema che, troppo a lungo, è stato trascurato. La speranza è che questo ennesimo suicidio possa risvegliare le coscienze e smuovere le istituzioni verso interventi reali e concreti, necessari per evitare che simili tragedie possano ripetersi in futuro.