Suffuru, lo Zolfo dei Catanesi
Tra i modi di dire più usati a Catania, suffuru è uno di quelli che non passa mai di moda, utilizzato come intercalare per riferirsi ad un interlocutore che non vuol sentire o, piuttosto, capire il senso di un discorso che per lui non è molto conveniente.
Sono diverse le occasioni in cui il catanese verace utilizza il termine dialettalesuffuru, che letteralmente traduce la parola “zolfo“, ma che semanticamente fa riferimento al silenzio e all’indifferenza mostrata dalla persona che, seppur viene interpellata durante una discussione, si mostra indifferente o fa finta di non sentire.
In fondo, di suffuru a Catania non ne manca! Anzi, sembra una vera e propria moda quella di fare orecchie da mercante; una soluzione per sopravvivere alla routine cittadina. Basti pensare a quanti genitori catanesi esclamano suffuru! ogni volta che i loro figli non rispondono alle loro richieste; o a quante persone per strada rispondono con un suffuru! a tutti quelli a cui si rivolgono senza ottenere in cambio nulla; o ancora a quanti coniugi alzano gli occhi al cielo e sbottano dicendo: “è inutile, suffuru è!
Insomma, ogni giorno c’è sempre un buon motivo per pronunciare questa parola! Ma qual è l’origine di tale espressione? Cos’è che ha permesso di trasporre il reale significato del termine zolfo? Scoprilo continuando a leggere!
Ma Perché A Catania si Usa Tanto Suffuru? Ecco l’Aneddoto che Lo Spiega
Come per altre espressioni molto usate a Catania, anche l’origine del termine suffuru è legata ad un aneddoto che, sebbene abbia il sapore di leggenda, rimanda invece alla realtà siciliana di fine ‘800, quando sull’isola si estraeva e si lavorava lo zolfo.
Risale ad allora infatti un’antica storiella che racconta l’incontro avvenuto tra un uomo che, dovendo recarsi in un paese pedemontano, chiese un passaggio ad un carrettiere che trasportava zolfo, il quale decise di chiedergli in cambio un compenso, che doveva essere calcolato in base al peso del passeggero, così come si faceva per il minerale giallo.
Dopo che si misero d’accordo e che stabilirono il corrispettivo da pagare per il viaggio, i due si misero in cammino; ma ad un tratto, proprio quando la strada divenne impervia, il carrettiere invitò il passeggero a scendere dal carretto per facilitare l’andamento del suo povero mulo. L’uomo non rispose e il carrettiere gli ripropose la richiesta, senza ottenere risposta nemmeno la seconda volta. Alla terza sollecitazione, però, molto tranquillamente e quasi con disinteresse, il passeggero invitò il suo interlocutore a mantenere la calma, facendogli notare di averlo indotto a pagare come se lui stesso fosse suffuru, cioè zolfo da vendere che in nessun caso può parlare.
Da quel momento, suffuru divenne un modo di dire che, via via, è giunto fino ad oggi e che viene usato anche da quei catanesi che non conoscono l’aneddoto e che non sanno se la sua origine sia frutto di leggenda o di realtà.
Ma andiamo ancora più a fondo, e vediamo la storia di questo termine!
Suffuru o Zolfo di Sicilia, Dalla Leggenda alla Realtà
Maggiori certezze si possono rintracciare nella storia siciliana e soprattutto in quella catanese fatta di numerosi documenti che testimoniano la cospicua presenza in città di ciminiere.
Fino al 1904, infatti, la Sicilia deteneva il monopolio dello zolfo, registrando una produzione pari al 91% del fabbisogno mondiale, con le sue 900 miniere, nelle quali erano impegnati ben 40.000 uomini. L’oro giallo, come viene chiamato ancora il minerale, veniva estratto in queste miniere, per poi essere trasportato a schiena di mulo, sulla quale si caricavano due balate, cioè due pani a forma di piramide, che venivano appositamente legate con corde verso i porti di Catania, Licata, Porto Empedocle, Termini Imerese, Messina e Palermo, imbarcato e inviato anche fuori dalla Sicilia. Questo è anche uno dei motivi per cui viene chiamato “fo di Sicilia
In seguito alla bonifica di alcune strade e alla costruzione di quelle comunali e provinciali, si iniziò ad utilizzare il carro a trazione animale, che fornì un mezzo più conveniente e più capiente, tanto da contenere non solo molto più zolfo, ma anche qualche passeggero, che a volte era loquace da fare compagnia al carrettiere di turno durante il viaggio; ma altre volte fin troppo silenzioso, inducendolo ad esclamare invece suffuru!”