Una vicenda lunga quasi trent’anni e una vita rovinata, con i migliori anni tolti all’essere umano costretto a trascorrerli in carcere. È questo e molto altro che ha spinto la Corte d’Appello di Catania nei confronti di Giuseppe Orofino, condannato ingiustamente per la strage Borsellino in seguito all’arresto del 1993.
Una condanna ingiusta e un milione e mezzo di risarcimento: le lacrime di Orofino quando sentì la condanna furono vere, così come la reazione collerica e disperata che lo spinse a battere con veemenza i pugni contro la vetrata della “gabbia” durante la lettura della sentenza.
Giuseppe Orofino fu arrestato nel 1993, poi condannato in via definitiva e quindi assolto nel processo di revisione nel 2017. Ora lo Stato deve pagare agli eredi di Giuseppe Orofino, portato in carcere a 49 anni, un milione e 404.925,25 euro di risarcimento per ingiusta detenzione con l’accusa di strage.
La decisione del maxi risarcimento è della corte d’Appello di Catania. Orofino dopo la lettura della sentenza scoppiò a piangere, urlando di disperazione, sbattendo la testa nel vetro della “gabbia” d’imputato, proclamandosi innocente. Ad accusare il carrozziere e altre sei persone fu il falso pentito Vincenzo Scarantino, il quale si era autoaccusato di avere partecipato alla strage insieme a Salvatore Candura, anche lui calunniatore.
Secondo l’accusa inziale, supportata dalle indagini del gruppo di investigatori Falcone-Borsellino capitanato da Arnaldo La Barbera, Orofino avrebbe fornito una targa pulita per la 126 rubata – che avrebbe anche tenuto nella sua officina – utilizzata come autobomba in via Mariano D’Amelio a Palermo il 19 luglio 1992 per uccidere il procuratore aggiunto Paolo Borsellino e gli agenti della Polizia di Stato Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Nel luglio scorso il tribunale di Caltanissetta ha dichiarato prescritte le accuse contestate a Mario Bo e Fabrizio Mattei, due dei tre poliziotti accusati di avere depistato le indagini sulla strage e hanno assolto il terzo imputato, il poliziotto Michele Ribaudo. Erano imputati di calunnia aggravata dall’avere favorito la mafia. Secondo l’accusa erano stati loro a imbeccare i malavitosi di borgata rendendoli complici degli stragisti e accusatori di persone – alcune già condannate per mafia – poi dichiarate innocenti.