“Ricordi sotto il vulcano”, la Nuova Puntata Per Conoscere la Filosofia di Vita del Vecchietto Con la Bici
“L’interesse verso la figura di Orazio Di Grazia (1923-2008), rimasto immutato in tutti questi anni, mi ha spinto a realizzare un nuovo film utilizzando materiale inedito del documentario La bici sotto il vulcano (2007). Ad esso si è aggiunta una pedalata in sua memoria nel 2015”.
Sono queste le parole che il regista Alessandro Marinaro, spinto dal “desiderio di raccontare gli ultimi capitoli di una storia straordinaria espressione di una Sicilia che non c’è più”, sceglie per introdurre la seconda puntata del documentario dedicato al noto e stimato vecchietto con la bici, conosciuto da tutti per le sue trasferte etnee, ma soprattutto per la sua umiltà.
Prodotto da 095mm con la collaborazione di Diego Castrogiovanni, “Ricordi sotto il Vulcano” narra infatti le vicissitudini di un uomo semplice, consapevole che oggi nessuno più riesce a considerare il grande lavoro che fa il cuore umano per spostare un peso di 7 quintali, che “porta in giro per il mondo due volte, non una volta”.
Un uomo con una missione ben precisa: aiutare il proprio cuore a compiere questo duro lavoro, “camminando sempre in mezzo alla strada fino a quando sarò qui in terra”.
Come lo stesso regista di “Ricordi sotto il vulcano” ha spiegato, “in questo secondo film si sviluppano temi che si affrontavano nel precedente e nel contempo racconto vicende di Orazio assolutamente inedite, che non avevo avuto modo di inserire nel vecchio documentario La bici sotto il vulcano. La sua voce, che è una eco di una Sicilia dissolta che non esiste più quella dei fieri lavoratori della terra, diventa mezzo per conoscere LA SUA filosofia di vita”.
Nei suoi interessanti monologhi infatti Orazio spiega il perché non avesse mai comprato una macchina e mai ceduto a quella “tentazione che nasce per distruggere e non per portare avanti il bene””lavorare l’esterno e non l’interno, perché l’interno lavora per tutti” come centro propulsore di vita in quanto muscolo infaticabile e generatore di felicità o infelicità.
Questo ultimo documentario nasce per far conoscere non solo l’avventura che fece quando incontrò Gino Bartali; ma anche quella fatta nel 1950, in occasione dell’Anno Santo, quando decise di partire per Roma in bicicletta, per fare una sorpresa alla madre che andò lì in pellegrinaggio; o per ascoltare il suo racconto della guerra negli ex territori jugoslavi.
Ma serve anche a dar voce a un gruppo di ragazzi che nel 2015 organizzò una pedalata dal Duomo di Catania sino alle porte di Nicolosi e che ancora oggi lo considera come esempio di vita. Ecco perché!
Orazio Di Grazia, “Un Poeta Di Vita”
I racconti del vecchietto con la bici sono affascinanti e instancabili, come lo era lui, vero poeta di vita, tutt’oggi ricordato dai suoi seguaci come “detentore di moltissimi valori, primo tra tutti quello della libertà che lui stesso riconosceva nella sua bici e che andava contro stereotipi e contro pareri perché per lui la bici rappresentava veramente un valore aggiunto alla sua vita”.
Lui che “rifiutava sempre l’aiuto di tutti perché per lui era una missione, quella di andare con la sua bici che spingeva come se volesse trasportare il peso di tutti” resta un vero esempio di vita e di osmosi fra essere e apparire, che in lui si risolveva nella totale sincerità dell’atto.
E questa sua costanza gli ha permesso di vivere intense emozioni, come quella provata a Bolzano dove, rivolgendosi al Signore, gli chiese la soddisfazione di incontrare un campione e venne ascoltato, permettendogli di vedere e parlare di presenza con il grande Bartali.
La sua intensa vita fu segnata anche dalla guerra, che ha lasciato nel suo cuore un segno davvero indelebile. Come lo stesso Orazio racconta nell’intervista, infatti, il giorno dell’armistizio, mentre tutti dicevano che la guerra era finita, lui era l’unico che sosteneva il contrario, vivendo in cuor suo attimi davvero brutti in attesa di sapere “se dovevo essere flagellato o lasciato libero” dagli slavi che li costrinsero a camminare e a gettare le armi e dai che obbligarono tutti i soldati che come lui erano degli anni ’20,’23 a presentarsi. Fu allora che Orazio cercò un posto dove potersi rifugiare e che trovò “una bella masseria” dove rimase fino a quando i tedeschi riniziarono le perquisizioni e lui dovette fuggire.
“Alla luce di quello che succede in Ucraina” sottolinea Marinaro “le sue parole sulla guerra fanno oggi ancora più effetto. La cosa sorprendente è che questo racconto risale al 2007 e ciò di cui parlava allora mi sembrava lontanissimo, qualcosa che apparteneva ai libri di storia, e che invece adesso, quindici anni dopo, diventa attuale sotto forme diverse”. Un racconto sincero che ha fatto breccia nel cuore e nella mente dello stesso regista e che emoziona tutti quelli che lo seguono con attenzione!
“Ricordi Sotto il Vulcano”, un’Occasione Per Riflettere Sulla Vita
Sinceramente convinto “che la gente ami di questa figura la sua completa sincerità, espressa nella capacità di essere stato libero a suo modo, incurante del giudizio esterno, ma capace di suscitare simpatia e commozione nel racconto delle sue avventure e delle sue sofferenze con la voce dell’antica saggezza contadina”, attraverso questo continuum, il regista vuole “far conoscere questa figura ai ragazzi di oggi, alle nuove generazioni, così da farli appassionare a certi personaggi del passato, caratteristici di un luogo”.
Ricordi sotto il vulcano nasce appunto dal desiderio di rendere noti gli ultimi capitoli della storia di Orazio Di Grazia, al quale è dedicata questa seconda puntata dal titolo emblematico di un’epoca passata, nella quale ha vissuto Orazio, una figura che come sostiene il regista “continua a interrogarci, senza che lui avesse voluto scatenare in noi certi dubbi o mettere in discussione delle certezze e che dovrebbe convincerci che, a volte, dovremmo farci certe domande, senza il timore della speculazione”.
È è proprio questo “uomo stanco e deluso dalle ingiustizie del mondo, ma anche lieto di non appartenere a quelli che credono di decidere della propria vita, quando in verità si rivelano attori passivi di una società massificata, vittime di schemi predefiniti” che si deve imparare a non divenire schiavi “dell’inerzia e della passività”, le quali- suggerisce ancora il regista Marinaro- “contribuiscono ad alimentare all’infinito una realtà imposta”.
Una realtà che, come sosteneva Orazio, viene odiata da chi la vive soffrendo ed è costretto a lavoare, così come ha sempre voluto fare lui, il vecchietto con la bici.