Caso Khelif: l’esperto analizza il possibile iperandrogenismo e spiega perché la sua partecipazione ai Giochi è possibile grazie ai livelli di testosterone conformi.

Caso Khelif: la scienza parla e chiarisce i dubbi sull’atleta algerina

Il caso dell’atleta algerina Imane Khelif, recentemente al centro di un acceso dibattito, continua a suscitare interrogativi in ambito medico e sportivo. Mentre si scatenano polemiche e interpretazioni, il professor Vittorio Unfer, noto ginecologo e massimo esperto della Sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), si esprime sulla questione, sostenendo che parlare di PCOS in relazione a Khelif sembri «poco probabile».

L’assenza di evidenze scientifiche

«Chiaramente parliamo senza aver visto la cartella clinica della pugilessa», afferma il professor Unfer, ma prosegue indicando che «l’atleta non sembra affetta dalla sindrome dell’ovaio policistico». Questa sindrome, spiega l’esperto, è tipicamente associata a un aumento della produzione di testosterone da parte dell’ovaio, il quale è causato da una iperinsulinemia. Le pazienti con PCOS, generalmente, presentano un fenotipo sovrappeso o obeso, mentre Khelif non appare rientrare in questa categorizzazione.

Iperandrogenismo o PCOS?

Il professor Unfer suggerisce piuttosto che Khelif possa essere affetta da una forma di iperandrogenismo idiopatico, condizione che si manifesta con segni maschili come un incremento della forza muscolare. «Visti i livelli di testosterone» della pugilessa, continua l’esperto, «questi devono rientrare nei limiti accettabili per poter sostenere una gara olimpica». Di conseguenza, Khelif è in grado di competere ai massimi livelli proprio grazie al fatto che i suoi livelli di testosterone sono nella norma.

Focus sul testosterone

Unfer sottolinea inoltre l’importanza di considerare non solo il valore totale di testosterone, ma anche il suo rapporto con la proteina di trasporto SHBG. Questo elemento è cruciale, in quanto solo il testosterone libero, non legato alla proteina, è biologicamente attivo. «Sarebbe opportuno non basarsi esclusivamente sul valore del testosterone», conclude Unfer, rimarcando l’importanza del contesto globale nei casi come quello di Khelif.

In un momento in cui le opinioni sono polarizzate e il dibattito affonda le radici in percezioni errate e stereotipate, le parole del professore possono fornire una nuova prospettiva su questioni delicate che coinvolgono identità, salute e sport. Il caso Khelif, quindi, rappresenta non solo una sfida medica ma anche un’opportunità per riflessioni più profonde sul mondo dello sport e sulla sua interazione con la scienza e la medicina.