Trieste si oppone nuovamente alla scelta di Martina Oppelli sul fine vita: l’associazione Coscioni definisce la situazione inumana.

Fine vita, a Trieste nuovo no per Martina Oppelli: “Inumano” secondo l’Associazione Coscioni

Trieste torna al centro del dibattito sulla fine vita. L’azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina ha nuovamente respinto la richiesta di suicidio assistito da parte di Martina Oppelli, una donna di 49 anni affetta da sclerosi multipla secondaria progressiva. Questa decisione, giunta il 28 agosto, ha sollevato un coro di critiche da parte dell’Associazione Luca Coscioni e di alcuni esponenti politici.

Martina Oppelli ha fatto la sua richiesta per l’ennesima volta il 13 agosto, dopo aver già tentato in precedenza. Nella sua comunicazione di diniego, l’azienda sanitaria ha descritto la situazione clinica di Oppelli in modo che la donna stessa ha definito "inumano". "L’Asugi nega l’evidenza", ha dichiarato. "Sono in una condizione di totale dipendenza vitale da persone, farmaci e macchinari". Oppelli ha espresso la sua incredulità per come medici che conoscono da anni la sua malattia possano sottovalutare la gravità della sua situazione.

Filomena Gallo, segretaria dell’Associazione Luca Coscioni, non ha risparmiato critiche: “Questa relazione è un insulto alla sofferenza di Oppelli, condannandola a un trattamento degradante per la sua dignità”. Nella lettera di diniego, viene messo in dubbio persino il ruolo terapeutico di dispositivi di supporto vitale, come la macchina della tosse, riducendo la questione a considerazioni quasi burocratiche.

L’associazione ha inoltre sottolineato come l’azienda sanitaria si basi su opinioni del Comitato nazionale per la bioetica, un organo consultivo, piuttosto che sui recenti pronunciamenti della Corte costituzionale, che avevano ampliato i criteri per il diritto al suicidio assistito. “Diverse aziende sanitarie hanno già adattato le loro politiche in base a questa sentenza, mentre l’Asugi sembra ignorarla”, ha evidenziato Gallo.

Sulla questione è intervenuta anche la deputata Debora Serracchiani, esprimendo il suo sconcerto per il “richiamo a un accanimento burocratico nei confronti di chi cerca di autodeterminarsi”. Serracchiani ha invitato il Parlamento a discutere seriamente il tema della dignità e del fine vita, sottolineando che “la ‘condanna a vivere’ può essere la più crudele di tutte le sentenze”.

Questa vicenda riaccende il dibattito sulla legislazione riguardante il fine vita in Italia, con richieste sempre più pressanti di un cambiamento normativo che possa garantire ai pazienti in condizioni simili a quelle di Martina Oppelli il diritto a una morte dignitosa. “Le proposte di legge esistono, spediamo un messaggio chiaro: possiamo e dobbiamo rendere più civile e umano il nostro Paese”, conclude Serracchiani.

La situazione di Martina Oppelli, quindi, non è solo una questione personale, ma un simbolo di ciò che molti italiani affrontano in silenzio, sollevando interrogativi cruciali sulla dignità, il diritto alla scelta e il ruolo della burocrazia nella salute dei cittadini.