Uranio e Vaccini: Militari Italiani in Lotta per Giustizia
UDINE – La questione dell’uranio impoverito e dei vaccini subisce una nuova accelerazione, con militari italiani che chiedono giustizia per le patologie che li affliggono. Un recente convegno, intitolato "Morti da nascondere", ha messo in luce le testimonianze toccanti di soldati ammalati e la responsabilità dello Stato nelle missioni all’estero.
Un grido di dolore e denuncia
La sentenza Motta, che ha riconosciuto il nesso tra le malattie riscontrate e l’esposizione all’uranio impoverito, ha acceso i riflettori su una realtà difficile da affrontare. La nanopatologa Antonietta M. Gatti, che ha esaminato le patologie di molti soldati, ha dichiarato: "Quando c’è un’esplosione di una bomba, si produce un aerosol di nanoparticelle che possono interagire con il nostro DNA." Queste affermazioni confermano l’esistenza di un problema ben più grande della sola "sindrome dei Balcani".
Il convegno di Udine: un atto di coraggio
Durante il convegno a Udine, organizzato dal movimento ‘Riprendiamoci l’Italia’, molti militari hanno condiviso le loro esperienze. “Non siamo mai stati ascoltati”, ha lamentato il Tenente Sergio Cabigiosu, malato di cancro e non riconosciuto come vittima del dovere. La sua testimonianza è solo una delle molte che dimostrano come i soldati, tornati in Italia con gravi patologie, siano stati ignorati per anni.
Il maresciallo Fabio Carlone, che ha perso un polpaccio a causa di un liposarcoma, ha evidenziato: “8.000 militari si sono ammalati e 400 sono morti durante le missioni in Kosovo. Il Ministero della Difesa ha ignorato le nostre richieste di assistenza, e molti di noi hanno dovuto affrontare lunghi procedimenti legali per ottenere un riconoscimento”.
Scarsa prevenzione e cocktail di pericoli
L’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, ha sottolineato che "il ministero della Difesa ha avuto scarsa attenzione preventiva verso le condizioni di inquinamento". Inoltre, la mancanza di una valutazione adeguata sui vaccini somministrati ai militari prima delle missioni ha aggravato la situazione. "Questi giovani soldati partivano in condizioni di stress immunitario senza essere adeguatamente protetti", ha affermato Bonanni.
La sentenza Motta: una speranza per il futuro
Nonostante le sfide, ci sono segni di progresso. La sentenza sul caso Motta ha impostato un nuovo precedente, riconoscendo il diritto dei militari a richiedere giustizia senza dover dimostrare la propria innocenza. “Lo Stato deve dimostrare perché un militare sano torna malato da una missione”, ha commentato Bonanni, indicando una possibile via per il riconoscimento delle vittime del dovere.
Conclusioni
Il convegno di Udine ha rappresentato una tappa importante nella lotta per la riconoscenza e la giustizia di militari italiani spesso dimenticati. La denuncia dei partecipanti segna l’inizio di un movimento che spera di portare alla luce verità taciute per troppo tempo. “Non serve la divisa per fare la propria parte”, ha concluso il Colonnello Carlo Calcagni, richiamando l’attenzione su un tema che interessa non solo i militari, ma anche i civili e i giornalisti coinvolti nei conflitti.
Il messaggio è chiaro: è tempo di ascoltare e di agire.