6 ottobre 2023: Il ricordo di una vita normale interrotta dalla guerra
Il 6 ottobre 2023 è un giorno scolpito nella memoria collettiva di chi vive in Palestina. Per Jumana Shahine, nata nella Striscia di Gaza, questo giorno rappresenta l’ultimo giorno di una vita normale. Un anniversario che, purtroppo, verrà ricordato in modo insolito e doloroso, dato che da quel giorno la realtà di molti ha preso una piega tragica, culminando in un conflitto che ha devastato vite e territori.
A partire dall’attacco di Hamas nel sud di Israele, avvenuto il 7 ottobre, la Striscia di Gaza è stata coinvolta in un conflitto che ha portato a una serie ininterrotta di bombardamenti. Circa 1.200 vittime e oltre 240 persone ostaggio sono il tragico bilancio iniziale di un conflitto che ha cambiato radicalmente il volto della regione. Le stime piĂą recenti parlano di oltre 40.000 morti tra i quali 16.800 minori, un numero colossale che riflette la fragilitĂ della vita in quell’area.
“Per noi palestinesi l’anniversario è stato ieri: il 6 ottobre”, si legge nel racconto di Shahine, che fa eco a un sentimento condiviso da molti. "I 365 giorni successivi sono stati tutti uguali: svegliarsi e andare a dormire sempre con la sensazione di essere in trappola". L’angoscia e la paura sono diventate compagne quotidiane di chi vive in una zona di guerra, dove anche il semplice atto di alzarsi dal letto può portare a una nuova tragedia.
Ora rifugiata in Egitto, Shahine racconta di aver dovuto prendere una decisione difficile. “Non c’è cosa peggiore che essere costretti a lasciare il proprio Paese”, testimonia, aggiungendo che questa scelta è stata motivata dalla necessità di garantire sicurezza a suo marito e a sua figlia. Ma la separazione dalla sua famiglia e dalla sua casa ha lasciato cicatrici profonde. "Continuo a dare assistenza ai profughi," spiega, sottolineando l’urgente bisogno di aiuto anche al di fuori dei confini di Gaza.
Le difficoltà non si fermano alla separazione dai propri cari. Shahine mette in luce le sfide quotidiane che affrontano i rifugiati in Egitto, tra cui la scarsità di lavoro e l’alto costo degli affitti, amplificato dalla crescente crisi. “Viviamo qui illegalmente ma le autorità egiziane lo consentono perché non ci sono altre opzioni”, confessa. Questo senso di precarietà aumenta il già pesante fardello di chi vive lontano dalla propria terra.
E mentre cerca di riadattarsi a una nuova vita, il dramma interiore continua a tormentarla. “Provo un senso soffocante di depressione, frustrazione e rabbia”, dichiara. Shahine si sente incapace di lasciarsi andare, domandandosi se "forse mi sentirei meglio se fossi rimasta a Gaza", rivolgendo la sua tristezza all’idea di non essere più in grado di aiutare la sua gente direttamente.
In fondo, la sua storia è rappresentativa di un conflitto che non conosce confini. Le cicatrici della guerra sono visibili non solo nella Striscia di Gaza, ma si allargano ai rifugiati che cercano una nuova vita in paesi lontani. "Solo tornare mi aiuterebbe," conclude con un velo di speranza l’operatrice umanitaria, mentre il mondo resta a guardare.